Con la sua politica tariffaria protezionistica, la nuova amministrazione statunitense sta inaugurando l’addio all’era della globalizzazione neoliberista
di Tomasz Konicz, 07.03.2025
È probabile che il protezionismo diventi la nuova normalità. Il primo riflesso della nuova amministrazione statunitense, sulla politica estera, è stato quello quello di fomentare dei conflitti commerciali. All’inizio di febbraio, pochi giorni dopo il suo insediamento, il presidente Donald Trump ha imposto dei dazi punitivi sulle merci provenienti da Cina, Canada e Messico. L’aumento dei prezzi all’importazione di beni provenienti da Messico e Canada, pari al 25%, è stato molto più elevato rispetto a quello sulla Cina, i cui beni sono stati soggetti a dazi doganali aggiuntivi del 10%. Per tutti e tre i paesi, con i quali registrano surplus commerciali, gli Stati Uniti sono di gran lunga il partner commerciale più importante. Ma mentre i dazi contro la Cina sono entrati effettivamente in vigore il 3 febbraio, Trump ha invece sospeso per 30 giorni l’attuazione delle misure protezionistiche nei confronti dei paesi confinanti a nord e a sud degli Stati Uniti. Contemporaneamente, il governo degli Stati Uniti ha avviato trattative con Messico e Canada, nel corso delle quali continua a permanere la minaccia di tariffe punitive. In realtà, Trump è già riuscito a ottenere delle concessioni significative: sia il Canada che il Messico hanno accettato di rafforzare i controlli alle loro frontiere con gli Stati Uniti. Il Messico prevede di mobilitare circa 10.000 soldati per proteggere il suo confine, in modo da non mettere così a repentaglio la sua posizione economica di regione di confine settentrionale, quasi come se fosse un’estensione degli Stati Uniti. In realtà, il presunto protezionismo economico di Trump costituisce uno strumento di potere geopolitico che può essere utilizzato per estorcere concessioni. Nel caso del Messico, che è particolarmente sensibile alla pressione economica degli Stati Uniti – avendo sviluppato una crescente dipendenza economica dagli USA a seguito della strategia di nearshoring statunitense – l’obiettivo è quello di isolarsi meglio rispetto ai movimenti migratori. Mentre il Canada, da parte sua, appare costretto a una maggiore integrazione nell’economia statunitense: la prevedibile lotta per le risorse e per le rotte commerciali dell’Artico, in rapido scioglimento, rende quantomeno comprensibili le bizzarre richieste di annessione fatte da Trump riguardo Canada e Groenlandia.
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