Il percorso oligarchico dell’America verso l’incombente era della gestione fascista della crisi
di Tomasz Konicz, 22.01.2025
La catastrofe, verso cui non è solo l’America che si sta dirigendo, incombeva già da prima della vittoria elettorale di Joe Biden nel 2020. Se dovessi essere eletto, «fondamentalmente non cambierebbe nulla», ha assicurato Biden ai ricchi donatori, nel corso di una cena elettorale a New York, nel giugno 2019, allorché il suo rivale socialista, Bernie Sanders, stava allora diffondendo ancora paura e terrore tra le fila dell’oligarchia statunitense, nel corso della campagna per le primarie [1] Dovevano essere mantenute le caratteristiche fondamentali delle politiche neoliberiste insieme a quelle delle costituzioni economiche, nello stesso modo in cui erano dominanti dagli anni ’80. In gran parte, il presidente ha mantenuto la sua parola, con una grande eccezione di destra, però: Biden ha adottato le politiche economiche protezionistiche del suo predecessore Donald Trump [2], lo ha fatto al fine di arrestare in parte, a spese della concorrenza atlantica, il progressivo impoverimento della classe media americana [3], senza dover per questo tassare l’oligarchia statunitense, la quale si sta sempre più organizzando. Ed è stata proprio questa idea reazionaria, di voler mantenere lo status quo anche di fronte alle continue dinamiche della crisi capitalistica, ad aver dato una spinta al fascismo. Biden, il tanto celebrato “dealmaker” di Washington che sa come negoziare i compromessi, è stato a malapena in grado di far passare uno qualsiasi dei suoi già inadeguati progetti di riforma, mentre l’inflazione strangolava gran parte dell’elettorato democratico [4]. Il Green New Deal, e la postulata trasformazione ecologica degli Stati Uniti sono rimasti solo un brutto scherzo, dato l’abisso tra la necessità ecologica e la sua applicabilità politica [5]. La crisi non ha ridotto il crescente divario sociale negli Stati Uniti: il sistema sanitario privato rimane disfunzionale, i senzatetto sono ai massimi storici, il costo della vita continua ad aumentare e le infrastrutture rimangono in gran parte fatiscenti. Biden ha fatto sì che nulla cambiasse in modo sostanziale. In tal senso, la sua amministrazione ha indubbiamente eseguito un‘ ultimo ballo di San Vito neoliberista sul vulcano ribollente della crisi [6] , laddove in realtà tutte le deviazioni dall’ortodossia neoliberista – soprattutto quella riguardante la deglobalizzazione protezionistica [7] già avviata – hanno solo preparato il terreno per questa grande svolta autoritaria che è ormai imminente. Tuttavia, la realtà della crisi tardo-capitalista appare molto più evidente persino delle caricature o delle satire più esagerate di questi ultimi anni.Ciò che non ci si aspettava, quando Biden è entrato in carica nel 2020, è stata la volontà del Partito Democratico di gettare benzina sul fuoco dello stato mentale del suo presidente fino alla fine. Joe Biden non era più in pieno possesso dei suoi poteri mentali e cognitivi, già durante la campagna elettorale del 2020 in cui veniva deriso come “creepy” o “sleepy Joe”, dopo essere riuscito, grazie a un’eccellente rete interna alla macchina politica statunitense, a impedire che l’anziano socialdemocratico di sinistra Sanders diventasse il candidato alle presidenziali, e a battere l’impressionante impopolarità di Trump nella campagna elettorale per le elezioni democratiche americane del 2020 [8] , contro il quale all’epoca avrebbe potuto vincere un qualsiasi robot. La presidenza di Joe Biden può quindi essere interpretata come una vetrina dell’industria sanitaria tardo-capitalista, i cui prodotti di punta sono riusciti a mantenere ampiamente presentabile l’anziano presidente per quattro lunghi anni, mentre l’industria dell’opinione, nella sua opera di sensibilizzazione, è riuscita con orwelliana accuratezza a nascondere l’ovvio: che alla Casa Bianca c’era qualcuno che difficilmente riuscirebbe a trovare un lavoro come custode, essendo sempre più sopraffatto da una scorretta percezione dello spazio-tempo [*9].
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