Gas naturale dall’Azerbaigian in cambio di sangue armeno

25.09, 2022 di Tomasz Konicz

Povera, circondata da nemici, senza alleati: l’Armenia si trova in una situazione geopolitica disperata, come dimostra il reiterato e continuo attacco dell’Azerbaigian –

Il tempismo dell’attacco su larga scala, lanciato a tarda notte il 12 settembre, è stato perfetto. Nello stesso momento in cui, in Ucraina orientale l’esercito russo subiva quella che, dai tempi dell’implosione dell’Unione Sovietica, è stata la sua più grande sconfitta, l’Azerbaigian sferrava i suoi attacchi massicci sul territorio armeno. Città, infrastrutture e installazioni militari che si trovano nella regione di confine meridionale dell’Armenia, sono state attaccate con artiglieria pesante e droni. In poche ore, Yerevan ha dovuto registrare decine di morti civili e militari. L’intensità degli attacchi si è un po‘ attenuata il 14 settembre, in seguito agli appelli provenienti dall’Occidente e dalla Russia, ma tuttavia si è continuato a registrare attacchi di artiglieria contro città e villaggi armeni. Allo stesso tempo, secondo fonti azere non ufficiali, l’esercito di Baku è riuscito a conquistare diverse postazioni strategiche nella zona di confine con l’Armenia; il che significa che l’artiglieria azera può ora esercitare il suo controllo su ampie zone dell’Armenia sud-orientale. Gli attacchi sferrati dall’Azerbaigian, a cui è stato assicurato il pieno sostegno della Turchia, suo stretto alleato, avvengono solo due anni dopo l’invasione della regione armena del Nagorno-Karabakh [1]; separatasi dall’Azerbaigian negli anni ’90 conseguentemente a una sanguinosa guerra che era seguita al crollo dell’Unione Sovietica. Nell’autunno del 2020, Baku, che considera il Nagorno-Karabakh parte dell’Azerbaigian, è riuscita a conquistare gran parte di quest’area di insediamento armena, e a espellere la sua popolazione mediante un’invasione coordinata con la Turchia [2]. In seguito a questa sconfitta – che in Armenia ha ridestato il trauma del genocidio turco avvenuto nel 1915 – l’esercito di Erevan non è più stato in grado di tenere testa, militarmente, alla schiacciante alleanza turco-azera. L’Armenia è povera, priva di risorse minerarie e di fonti energetiche. Invece l’Azerbaigian, al contrario, grazie ai ricchi giacimenti di gas naturale e petrolio, non solo può permettersi di disporre di un budget militare superiore all’intero bilancio nazionale dell’Armenia, ma può utilizzare anche l’«arma del gas», come leva diplomatica per isolare l’Armenia. Ciò si è reso evidente – non solo nel corso dell’attacco da parte di Azerbaigian e Turchia avvenuto nel 2020, allorché né l’Occidente né la Russia potevano essere convinti a dare un sostegno sostanziale all’Armenia – proprio nel momento in cui oggi sta emergendo un costellazione geopolitica simile. L’Armenia è un membro dell’alleanza militare post-sovietica a guida russa, l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC), che il Cremlino intendeva trasformare nella controparte eurasiatica della NATO. Poco dopo i primi attacchi azeri, diretti principalmente contro il territorio armeno riconosciuto a livello internazionale, Erevan si è rivolta all’Alleanza che comprende sei repubbliche ex sovietiche, in una videoconferenza, con una richiesta di assistenza. Ma Mosca – la cui arcaica macchina militare sta ora raggiungendo il suo punto di rottura nell’Ucraina orientale – ha reagito in maniera evasiva. Putin ha acconsentito solamente a inviare una squadra di osservatori dell’OTSC.

Abbandonati da Putin e dall’UE
Non è solo la catastrofe militare degli ultimi giorni in Ucraina orientale a costringere Mosca – che ha dovuto ridurre la sua presenza di truppe in Armenia e nel Nagorno-Karabakh – a suggerire di esercitare una moderazione militare. L’Azerbaigian – che sguazza nella valuta estera – è uno dei più importanti clienti dell’industria bellica russa, e il dittatore azero Aliyev intrattiene ottimi rapporti con Putin. Proprio alla vigilia dell’invasione russa dell’Ucraina, il 22 febbraio, i due leader autocratici hanno firmato un accordo di cooperazione globale. L’Armenia, viceversa, nel 2018 ha vissuto la cosiddetta «rivoluzione di velluto» borghese, nel corso della quale la cricca corrotta fedele a Putin è stata spodestata, mentre sono andate al potere forze più liberali orientate all’Occidente, costituitesi attorno al presidente Pashinyan, il quale ha osato una cauta democratizzazione e un avvicinamento all’Occidente; che Mosca ha punito con il suo non intervento nella guerra del 2020. L’errore più grande di Pashinyan, tuttavia, è stato probabilmente quello di prendere sul serio la retorica democratica dell’Occidente, dato che l’UE, in maniera particolare, ora vuole promuovere l’Azerbaigian rendendolo un fornitore centrale di gas, soprattutto nel contesto della guerra contro l’Ucraina. A luglio, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è riuscita ad accordarsi con l’autocrate azero Aliyew circa «l’estensione» del corridoio meridionale del gas attraverso la Georgia e la Turchia, il quale in futuro dovrebbe trasportare il doppio del gas verso l’UE. Il giorno dell’attacco all’Armenia, il ministro dell’Energia dell’Azerbaigian ha dichiarato che il suo paese, ben armato, solo quest’anno intende aumentare le forniture di gas all’UE del 30%. L’Azerbaigian si trova pertanto impegnato in una «politica di oscillazione», un’altalena geopolitica tra Mosca e l’Occidente, assai simile in piccola scala a quella della Turchia, al fine di riuscire a ottenere le massime concessioni da entrambi i blocchi di potere. Inoltre, per anni Baku ha semplicemente corrotto l’establishment politico di Berlino e Bruxelles, con milioni di euro, per far valere le proprie ragioni. Nelle loro dichiarazioni iniziali, i rappresentanti dell’UE hanno di conseguenza invitato entrambe le parti a una de-escalation del conflitto, occultando così il palese attacco di Baku. Bruxelles e Berlino, sembrano ora disposte a pagare il gas azero con il sangue e con il territorio armeno, per fare in modo che il processo di valorizzazione nell’UE – la base materiale di tutti gli altisonanti valori europei – non perda la sua base energetica. L’attuale ondata di attacchi dimostra che Baku e Ankara intendono cogliere l’occasione favorevole per riuscire così ad avvicinarsi a quelli che sono due obiettivi strategici: costringere l’Armenia ad abbandonare le aree di insediamento armeno nel Nagorno-Karabakh, e ottenere un corridoio terrestre tra la Turchia e l’Azerbaigian che passi attraverso il territorio dell’Armenia meridionale.

  • Tomasz Konicz – Pubblicato il 14/9/2022 su analyse & kritik. Zeitung für linke Debatte & Praxis

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