Basta con le eccedenze commerciali

22.09.2022, – di Tomasz Konicz –

Per la prima volta in oltre 30 anni, la Germania ha registrato una bilancia commerciale negativa. Il modello economico tedesco, fissato sulle esportazioni, sta entrando in crisi.

Il „campione mondiale delle esportazioni“ ormai è una storia del passato: a maggio, per la prima volta dal 1991, la bilancia commerciale tedesca ha registrato un deficit, sebbene ancora di poco inferiore a un miliardo di euro. L’industria tedesca, che era stata viziata dal successo, e che dagli anni ’90 era stata responsabile di avanzi commerciali (quasi sempre consistenti), ora a quanto pare si trova di fronte a dei grossi problemi. I fattori decisivi sono due: il rapido aumento dei prezzi delle fonti energetiche e delle materie prime, e la continua perturbazione delle catene di approvvigionamento globali, a causa della quale le aziende tedesche mancano di componenti per la produzione, e i prezzi delle importazioni aumentano. Di conseguenza, rispetto all’anno precedente, il costo delle importazioni è salito del 27,8%, raggiungendo i 126,7 miliardi di euro, mentre le esportazioni sono aumentate solo dell’11,7%, raggiungendo i 125,8 miliardi di euro. Rispetto al mese di aprile, la nuova tendenza appare ancora più chiaramente: il valore delle esportazioni tedesche è aumentato solo dello 0,5%, mentre le importazioni sono aumentate del 2,7%.
Sembra che i rappresentanti delle aziende tedesche si stiano preparando al fatto che l’era degli elevati surplus commerciali tedeschi – già scesi da 224 a 173 miliardi di euro all’anno tra il 2019 e il 2021 a causa della pandemia – rischia di finire. Volker Treier, responsabile del commercio estero dell’Associazione delle Camere dell’Industria e del Commercio tedesche (DIHK), all’inizio di luglio ha parlato di una «flessione delle esportazioni» a lungo termine. E la fine degli aumenti dei prezzi, così come quella dei problemi della catena di approvvigionamento, non si riesce ancora a vedere. La Federazione tedesca del commercio all’ingrosso, del commercio estero e dei servizi (BGA) ha commentato dicendo che le «conseguenze della guerra di aggressione russa, e le interruzioni alle catene di fornitura internazionali» lasceranno nella bilancia commerciale tedesca «tracce assai più grandi», soprattutto se si dovesse verificare «un’interruzione nelle forniture di gas dalla Russia». Ci sono stati dei quotidiani, come il Tagesspiegel, che a causa del deficit commerciale, che mette in pericolo il «modello tedesco di prosperità», hanno visto in tutto questo un’«epocale inversione di tendenza». I giornalisti economici del Die Welt sono arrivati persino a chiedersi se il «declino» della Germania avrebbe portato a una «crisi sociale».

In realtà, nel XXI secolo, il successo economico della Repubblica Federale si è basato sul fatto che le eccedenze commerciali con l’estero, alle quali erano pervenuti per oltre 60 anni, durante questo periodo avevano toccato vette straordinarie. Per molti altri Paesi questo è stato devastante, poiché alle elevate eccedenze commerciali della Germania, che spesso hanno superato i 200 miliardi di euro – nel 2017 addirittura 247 miliardi di euro – hanno corrisposto deficit altrettanto consistenti. Nel dibattito economico tedesco, guidato dall’ideologia, una tale connessione viene in genere ignorata, ma dovrebbe essere ovvio per tutti che le eccedenze e i deficit nei saldi commerciali con l’estero devono uniformarsi su scala globale. La prosperità della Germania – la cui distribuzione ineguale, tra l’altro, si sta accentuando sempre più – si è quindi basata de facto sull’esportazione del debito verso i Paesi destinatari dell’offensiva tedesca sulle esportazioni. In questo Paese, il fatto che la Germania sia ancora uno dei principali Paesi industriali viene considerato come un grande successo. La preservazione e l’espansione dell’industria tedesca è avvenuta a spese di altri Paesi, dove la deindustrializzazione ha assunto proporzioni enormi e la disoccupazione e il debito sono cresciuti. Ad esempio, le enormi esportazioni dell’industria tedesca hanno portato al declino della concorrente industria nell’Europa meridionale. Gli screzi che ci sono stati tra il governo federale e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump – che aveva promesso ai suoi elettori di ridurre l’enorme deficit commerciale degli Stati Uniti – derivano anche da questo contesto sociale. Trump si era insediato nel 2016, promettendo di restituire prosperità a quei settori in declino della società statunitense, spostando la produzione industriale negli Stati Uniti, sia attraverso il protezionismo sia facendo pressione sui grandi Paesi in surplus, come Cina e Germania, e che per di più avevano approfittato della relativa debolezza dell’euro rispetto al dollaro. E nel mentre che minacciava l’industria automobilistica tedesca con i dazi, la sua amministrazione aveva imposto alla Cina delle tariffe sulle importazioni che, curiosamente, non sono poi state ritirate dall’attuale amministrazione statunitense guidata da Joe Biden.

Queste tendenze protezionistiche, nei conflitti di politica commerciale, preceduti da gare di svalutazione monetaria, sono una conseguenza della crisi sistemica del capitale, il quale non dispone di un nuovo regime di accumulazione, nel quale il lavoro salariato di massa, impiegato nella produzione di merci, possa così essere valorizzato con profitto, a quello che è il livello di produttività globalmente dato. Invece avviene che, al contrario, i capitali in competizione si trovano impegnati in una lotta sempre più feroce, per cercare di tenere a bada al meglio gli effetti della crisi. Così, questa crisi sistemica si manifesta concretamente in un debito globale, che cresce più velocemente dell’economia mondiale, e che ora ammonta a 296.000 miliardi di dollari, circa il 350% della produzione economica mondiale. Il sistema iper-produttivo sta funzionando, per così dire, a credito. La competizione di crisi tra le diverse località economiche, in cui la Repubblica Federale ha ottenuto un grande successo, è consistita nel trasferire il vincolo del debito verso altre economie, attraverso le eccedenze commerciali. Gli elevati avanzi commerciali della Germania, sono una conseguenza dell’introduzione dell’euro e della cosiddetta Agenda 2010. L’attuale saldo del bilancio commerciale tedesco, il quale tiene conto dei servizi, oltre che del commercio di merci, negli anni ’90 si trovava ancora in equilibrio, mostrando solo delle eccedenze relativamente gestibili. È stata l’introduzione dell’euro a determinare le enormi eccedenze commerciali della Germania, soprattutto nei confronti degli altri Paesi dell’Eurozona. Questo perché la moneta unica ha impedito ai Paesi dell’euro di reagire al rapido aumento delle eccedenze commerciali tedesche, per mezzo di svalutazioni monetarie, nel mentre che le leggi Hartz hanno garantito la svalutazione del lavoro in Germania.

Questa strategia da parte di quello che poi sarebbe diventato il futuro campione mondiale delle esportazioni, è stata resa possibile solo grazie al corrispondente accumulo di debito pubblico, soprattutto nell’Eurozona meridionale. Le bolle speculative e del debito che ne sono derivate, sono scoppiate nel 2008. Dopo l’esplodere della crisi dell’euro, la Germania – grazie al dettame dell’austerità, incarnato dal ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble (CDU) – è stata in grado di trasferire le conseguenze sociali di quella crisi ai Paesi della periferia meridionale dell’Unione monetaria. Allo stesso tempo, a causa della sottovalutazione strutturale dell’euro rispetto alla performance dell’industria tedesca, veniva attuato simultaneamente un riallineamento geografico dei flussi commerciali tedeschi. Mentre la crisi nell’Europa meridionale indeboliva la domanda di beni tedeschi, le eccedenze commerciali tedesche nelle esportazioni verso i Paesi extraeuropei erano cresciute rapidamente. L’Eurozona, che inizialmente aveva un bilancio commerciale in pareggio, dopo la crisi dell’euro generava crescenti surplus commerciali, e questo dopo che l’unione valutaria era stata trasformata in una „Europa tedesca“ per mezzo di politiche di austerità e di svalutazione interna. Ma ora anche questo è arrivato alla sua fine: secondo l’ufficio statistico Eurostat, il deficit commerciale destagionalizzato dell’Eurozona nello scorso aprile è aumentato, dai 13,9 miliardi di euro del mese precedente a 31,7 miliardi di euro. Dalla creazione dell’Unione valutaria, si tratta del deficit commerciale estero di gran lunga più elevato. È questa la ragione sistemica che si trova dietro la crisi dell’industria tedesca delle esportazioni: nei due decenni in cui il debito globale è passato da meno del 200 a più del 350 percento della produzione economica mondiale, la Germania era stata ancora in grado di trasferire la litigiosa crisi ad altri, attraverso il suo surplus di esportazioni, ma ora questa crisi minaccia di estendersi a quello che è il nucleo economico dell’Eurozona.

La situazione di bilancio stabile degli ultimi anni, con tassi di interesse bassi, a volte negativi, sulle obbligazioni emesse, si era basata anche su anni di esportazioni di debito, consentendo al governo tedesco di mobilitare centinaia di miliardi di euro in modo da attutire così anche le conseguenze economiche della pandemia di Covid-19 e della guerra di aggressione russa. Ora tutto questo è a rischio, per quanto il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner (FDP) continui a promettere che si atterrà al cosiddetto freno al debito. Quanto meno, questo dovrebbe mettere a tacere la retorica economica sciovinista dell’opinione pubblica tedesca nei confronti dei Paesi debitori dell’Eurozona, grazie alla quale il più grande esportatore di debito d’Europa si indigna per quelle montagne di debito che esso stesso costringe gli altri Paesi ad accumulare. Tuttavia, è probabile che questa sarà l’unica conseguenza politica interna positiva della temuta «flessione delle esportazioni»; se questa tendenza di crisi dovesse diventare permanente. Alla crisi delle esportazioni, probabilmente le élite funzionali tedesche reagiranno nello stesso modo brutale con cui avevano avviato il boom del commercio estero per mezzo delle leggi Hartz: svalutando all’interno, ulteriormente, la merce lavoro, la bilancia commerciale potrebbe venire riportata in territorio positivo, in modo da difendere così il modello di accumulazione tedesco in crisi. Inoltre, la fine del boom delle esportazioni potrebbe riuscire a dare un nuovo impulso all’estrema destra e all’euroscetticismo nella Repubblica Federale, nel caso che l’Eurozona, da vantaggio competitivo, si dovesse trasformare in un mero fattore di costo, e se le preoccupazioni per un’immagine della Repubblica Federale che promuove le esportazioni all’estero finissero per passare in secondo piano.

  • Tomasz Konicz – Originariamente pubblicato in Jungle World il 21/7/2022 –
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