15.04.2024, di Tomasz Konicz
Un ampio dibattito di sinistra sui concetti di decrescita e sulla cosiddetta economia post-crescita sembra urgentemente necessario, se non altro per rompere con l’arcaica ideologia socialdemocratica e marxista tradizionale, che sta nuovamente guadagnando slancio sullo sfondo delle tendenze di crisi del capitalismo di Stato. Il fatto che la crescita infinita sia impossibile, oltre che autodistruttiva, in un mondo finito appare subito evidente, ed è facile da comunicare al grande pubblico. Questa argomentazione può essere un punto di partenza per la formazione di una coscienza radicale della crisi, evitando così che le persone insicure finiscano nell’illusione e nell’ideologia della crisi (che va di pari passo con la naturalizzazione del capitalismo, e in cui le cause della crisi vengono personalizzate).
Tuttavia, come ha osservato Christian Hofmann nel suo contributo alla discussione, questo è ben lungi dall’essere sufficiente. Si tratta piuttosto solo di un primo passo di consapevolezza che dovrà poi essere seguito da un esame della relazione di capitale, intesa come un processo feticistico caratterizzato da crescenti contraddizioni interne ed esterne. Ed è proprio qui che l’anacronistico pensiero della lotta di classe fallisce clamorosamente, dal momento che la gestione della crisi e il passaggio a un’economia post-crescita vengono trasformati invece in una mera questione di esproprio, nella quale il proletariato, ormai decaduto da tempo, dovrebbe essere rianimato nelle vesti di soggetto rivoluzionario, come sostiene Julian Kuppe nel suo contributo. Nell’ambito della sinistra – che per molti anni ha negato i cambiamenti climatici – è diventato ora normale aggiungere al suo armamentario – di riflesso – la crisi sistemica e climatica, come se si trattasse solo di un nuovo elemento da aggiungere insieme agli altri alla vecchia ideologia, in modo da poter così continuare a persistere nel pensiero radicato della lotta di classe.
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