Separazione transatlantica?

Come hanno fatto gli Stati Uniti a superare economicamente l’Eurozona? E questa tendenza continuerà? –

di Tomasz Konicz, 03.12.2023

Sembra che dal punto di vista economico, gli Stati Uniti siano in procinto di staccarsi dall’Eurozona. Nelle ultime settimane, i principali quotidiani economici statunitensi e britannici – il Wall Street Journal (WSJ) [1] e il Financial Times (FT) [2] – si sono concentrati sul crescente divario economico tra le due economie occidentali che, secondo le ultime previsioni del Fondo Monetario Internazionale (FMI), nel prossimo anno sarebbe destinato ad aumentare ancora. Secondo il FMI, nel 2024, il prodotto interno lordo (PIL) degli Stati Uniti crescerà dell’1,5%, mentre l’eurozona dovrebbe crescere solo dell’1,2%. Naturalmente vediamo come questi articoli sono accompagnati dai soliti consigli inutili («troppo stato sociale», «tasse troppo alte», «troppa disoccupazione») fatti con sfumature derisorie, di cui il settimanale Die Zeit, ad esempio, si è lamentato online [3]. Ma tuttavia era stato proprio questo genere di discorso dispregiativo, quello che, pochi anni fa, al culmine della crisi dell’euro, l’opinione pubblica della Repubblica Federale Tedesca aveva utilizzato nei confronti dell’Europa meridionale, e proprio da Die Zeit [4]. Ma perché si sta allargando il divario economico ? Ciò di cui va tenuto conto, è il semplice fatto che l’Eurozona non costituisce solo l’area valutaria di un singolo Stato. Dallo scoppio della crisi del 2008, l’area dell’euro è stata segnata da feroci conflitti nazionali e da dei crescenti squilibri socio-economici, in cui si è visto il centro tedesco scaricare unilateralmente le conseguenze della crisi dell’euro sulla periferia meridionale – sui cosiddetti „Paesi del Debito“ – sotto forma di quello che è stato il diktat di austerità di Schäubler [5]; e tutto questo nel mentre che la Repubblica Federale di Germania viveva un lungo boom economico alimentato dalle esportazioni [6]. In tal modo, Washington è stata invece in grado di elaborare e formulare una politica di crisi più o meno coerente; e questo mentre a Bruxelles, tutte le misure di crisi sono sempre state anche espressione delle lotte di potere tra i diversi governi statali dell’Eurozona.

Link: https://francosenia.blogspot.com/2023/12/divorzio-allamericana.html

Il divario si allarga

Ciononostante, tuttavia, anche se le previsioni economiche per il 2024 si dovessero rivelare corrette, quella che verrebbe comunque confermata è un tendenza economica di lungo periodo, e questo dal momento che negli ultimi 15 anni, in termini di crescita economica, gli Stati Uniti hanno semplicemente superato gli europei, sebbene la differenza tra Germania e Stati Uniti sia molto più contenuta di quanto lo è quella tra Grecia o Italia e Stati Uniti. Secondo il WSJ – che si basa sui dati del FMI – l’economia europea – misurata secondo la valuta di riserva mondiale, il dollaro USA – negli ultimi 15 anni è cresciuta solo del 6%, rispetto a circa l’82% degli Stati Uniti. E il prodotto interno lordo, che nel 2008, ammontava a circa 14mila miliardi di dollari, sia negli Stati Uniti che nell’UE, oggi solo negli Stati Uniti ha superato i 26mila miliardi di dollari, rispetto a quelli che in Europa sono invece solamente 15mila miliardi di dollari. Questa divergenza economica tra Unione Europea e Stati Uniti, appare del tutto evidente anche quando viene vista in termini di consumi e di salari: essa è una conseguenza tardiva del sadismo del paradigma dell’austerità di Schäubler, celebrato in Germania [7], che è stato imposto da Berlino [8] alla periferia meridionale dell’Eurozona – fortemente indebitata – durante la crisi dell’euro. 15 anni fa, alla vigilia della scoppio della bolla immobiliare transatlantica [9], gli Stati Uniti e l’Unione Europea rappresentavano, ciascuno, circa un quarto della spesa globale dei consumatori; mentre invece ora la percentuale è del 28% negli Stati Uniti, e solo del 18%o nella UE. Dal 2019 i salari reali, corretti a causa dell’inflazione, a ovest dell’Atlantico sono aumentati del 3%, mentre invece in quasi tutti i paesi dell’UE si sono ridotti: dal 3% della Germania, al 3,5% dell’Italia, al 6% della Grecia. In ogni caso, questo crescente divario economico non ha più portato a un aumento del tenore di vita della maggior parte di coloro che svolgono un lavoro salariato dipendente: negli Stati Uniti, lo scollamento tra lo sviluppo economico ufficialmente registrato e la realtà sociale, è aumentato assai più di quanto abbia fatto nell’UE. Così, ad esempio, la difficile situazione sociale dei salariati negli Stati Uniti si riflette nell’aspettativa di vita media [10], che è scesa a 73 anni per gli uomini, e a 79 anni per le donne [11]. In Europa, gli uomini possono sperare in un’aspettativa di vita media di 79 anni, mentre le donne addirittura di 84 anni; e va detto che oltretutto, negli ultimi anni, il divario è ulteriormente aumentato. Il fatto che quasi due terzi di tutti i cittadini statunitensi non sono in grado di costituire riserve finanziarie significative, e debbano arrancare mese dopo mese di assegno in assegno [12] – e questo in un momento in cui, negli Stati Uniti, i salari corretti a causa dell’inflazione, dovrebbero essere aumentati del 6% – ci dovrebbe dare un’idea di quali siano le distorsioni, e di come viene calcolato il tasso di inflazione ufficiale.

Opportunità per gli Stati Uniti: l’Ucraina? Le fonti di energia? Il protezionismo?

Riassumendo, in sintesi, si può tuttavia affermare che il divorzio economico, attuato dagli Stati Uniti nei confronti dell’Eurozona, si trova a un buon punto, sebbene però i lavoratori salariati dipendenti residenti a Ovest dell’Atlantico, da tutto questo non ne traggano alcun beneficio. Tralasciando l’ideologia meramente neoliberista, a partire dalla quale la colpa della stagnazione economica dell’Europa sarebbe da imputare allo stato sociale, alle tasse o ai sindacati; nei loro articoli, il Wall Street Journal e il Financial Times citano anche alcune cause, assai più reali, responsabili del crescente divario transatlantico. Tra le altre cose, a essere citata è la maggior spesa economica di Washington, dovuta allo scoppio della pandemia, oppure il settore high-tech statunitense, che non ha alcun equivalente in Europa, la quale invece si trova in ritardo in termini di tecnologia. Comunque, in questo momento, a colpire l’Europa, assai più di quanto faccia negli Stati Uniti, è soprattutto la guerra in Ucraina. L’economia europea sta soffrendo per i prezzi elevati dell’energia, molto più di quanto soffrano i suoi concorrenti americani, i quali possono ripiegare sui combustibili fossili a basso costo, ottenuti grazie al fracking [13] – ecologicamente disastroso – che ha reso gli Stati Uniti uno dei maggiori esportatori di energia al mondo [14]. Questa differenza si riflette concretamente anche nei dati relativi all’inflazione – pubblicati negli Stati Uniti [15] –che sono sempre inferiori a quelli relativi all’area dell’Eurozona [16]. Inoltre, l’invasione russa dell’Ucraina ha anche consolidato quello che vede il ruolo degli Stati Uniti come un „rifugio sicuro“ per i capitali in tempi di crisi, soprattutto perché l’UE non ha una capacità militare sufficiente a condurre da sola quei conflitti imperialisti che, in Europa, hanno innescato la frenetica corsa agli armamenti. Così, entrambi i quotidiani economici sottolineano come l’orientamento all’esportazione dell’UE e della Repubblica Federale Tedesca si sia trasformato in uno degli svantaggi principali per l’Europa. Fino a pochi anni fa – secondo il Financial Times – l’Europa e la Germania continuavano a essere ancora i «grandi vincitori della globalizzazione», ma «quel tipo di globalizzazione» ormai è solamente un ricordo che appartiene al passato. Il WSJ, da parte sua, ha osservato che con il «raffreddamento del commercio globale», anche la «formidabile industria delle esportazioni» europea ha finito per trovarsi in un vicolo cieco. La «dipendenza dalle esportazioni», per l’Europa, si sta trasformando – da quello che era un punto di forza – in una „debolezza“, e questo perché circa il 50% del PIL dell’UE viene generato dalle esportazioni, rispetto al solo 10% degli Stati Uniti. Il protezionismo causato dalla crisi, sta perciò portando a un enorme svantaggio per quelle che sono le economie e le aree economiche orientate all’esportazione.

Lo scenario della crisi: l’imminente erosione dei circuiti del deficit globale

Con l’erosione della globalizzazione, a lungo termine, anche la strategia economica di rigoroso orientamento all’esportazione – perseguita dalla Germania sin dall’introduzione dell’euro e il cui „modello di business“ economico si basa sull’ottenimento dei più alti surplus commerciali possibili – sta ora venendo meno. Grazie alla cosiddetta politica del „beggar-thy-neighbor“ [„Getta sul lastrico il tuo vicino“] [17], il debito, la deindustrializzazione e la disoccupazione vengono ora esportati proprio nei paesi di destinazione delle eccedenze delle esportazioni. La cosa ha avuto inizio con l’Agenda 2010, e con le leggi repressive sul lavoro Hartz IV [18] – che nella RFT hanno ridotto in maniera massiccia il costo del lavoro per unità di prodotto – facendo sì che così la Germania è riuscita a essere in grado di ottenere, fino allo scoppio dell’Eurocrisi [19], delle eccedenze commerciali estreme [20] nei confronti dell’Eurozona; cosa che ha contribuito in maniera determinante alla formazione del deficit, e allo scoppio di questa crisi del debito europeo. Dopo che Berlino ha rovinato gli Stati europei in crisi, per mezzo delle politiche draconiane di austerità [21], questa strategia di esportazione è stata indirizzata verso i paesi extraeuropei [22]. Di conseguenza, dopo la crisi dell’euro, l’area dell’euro ha registrato un surplus altrettanto elevato anche nei confronti dei paesi extraeuropei; allo stesso modo in cui in precedenza aveva fatto la Germania nei confronti dell’area monetaria europea. La cosa può essere vista chiaramente nella bilancia commerciale tra gli Stati Uniti e l’UE, che Schäuble aveva sottoposto a una dieta di austerità [23]. Così facendo, il deficit commerciale degli Stati Uniti è passato dai circa 58 miliardi di dollari del 2000, a poco meno di 100 miliardi nel 2011, e poi a 218 miliardi di dollari nel 2021 (anno in cui la Germania rappresentava circa un terzo di quello che era il deficit commerciale degli Stati Uniti) [24]. Ma nel 2022, a causa dell’aumento delle misure protezionistiche negli Stati Uniti, il surplus europeo è sceso a circa 202 miliardi di dollari. Così, a metà del 2023, è stato proprio il Financial Times – che recentemente ha descritto il declino economico dell’Europa – a illustrare quale sarebbe stato il cambiamento di politica economica di Washington [*25], avviato dall’amministrazione Trump e poi ulteriormente promosso anche da Biden.

Si tratta di un rifiuto protezionistico della globalizzazione, col quale, attraverso una «politica estera per la classe media», la Casa Bianca intende contrastare sia lo «svuotamento della base industriale», quanto l’emergere di alcuni «rivali geopolitici», e la crescente «disuguaglianza» che mette a rischio la democrazia. Un’espressione visibile di questi inizio di de-globalizzazione, è il Nearshoring, con il quale gli Stati Uniti cercano di sostituire quella che è la loro dipendenza economica dall’industria dell’esportazione cinese, attraverso la costruzione di nuove capacità industriali in Messico [26]. E tuttavia, il protezionismo di Washington, finalizzato alla reindustrializzazione non è diretto solamente contro il «rivale geopolitico» Cina, ma anche contro l’Europa „tedesca“; e ad esempio viene attuato sotto forma di quelle clausole „Buy America“ che fanno parte dei pacchetti di stimolo economico di Washington [27], e per mezzo della continua minaccia di guerre commerciali transatlantiche. A metà ottobre – nei colloqui commerciali – l’UE e gli Stati Uniti non sono riusciti a raggiungere un compromesso che evitasse la reintroduzione, all’inizio del 2024, delle tariffe punitive sull’acciaio e sull’alluminio provenienti dall’Europa [28]. Inoltre, a causa delle disposizioni del programma di sovvenzioni dell’Inflation Reduction Act americano, i fornitori tedeschi di automobili rischiano ancora di rimanere esclusi dalle catene di produzione statunitensi. Appare inoltre improbabile che Washington metta fine a questa politica, dal momento che il protezionismo sembra funzionare. Le aziende tedesche investono sempre più negli Stati Uniti, e così beneficiano dei sussidi di Washington [29]. Infatti, gli investimenti privati annuali negli Stati Uniti sono come esplosi: passando da quelli che alla fine del 2020 erano solo circa 75 miliardi di dollari, ai 204 miliardi di dollari nel terzo trimestre del 2023.

Berlino aveva affrontato il 21° secolo, in modo che esso venisse guidato dalla Repubblica Federale Tedesca [30] – e poi, dal 2010, a causa della crisi dell’euro, per essere guidato dall’Eurozona – orientandosi verso un modello economico volto all’esportazione, in modo da conseguire un surplus commerciale in quella che era l’economia mondiale globalizzata dell’era neoliberista. Con la de-globalizzazione in pieno svolgimento, ora l’ex campione mondiale delle esportazioni si è trovato in un’impasse di politica economica che mette in discussione non solo la stabilità economica della Repubblica Federale Tedesca nel medio termine, ma anche la sopravvivenza politica dell’Eurozona. In questa nuova fase di crisi caratterizzata dal protezionismo, il contesto sistemico della crisi [31] diventa quello della crescente erosione dei circuiti del deficit globale [32], caratterizzato dalla globalizzazione neoliberista, con le sue montagne di debito in continuo aumento. L’aumento globale del debito [33], che ha ormai superato l’aumento della produzione economica mondiale, non è stato uniforme, ma ha portato a degli squilibri nelle bilance commerciali. Le economie orientate all’esportazione, come la Cina e la Repubblica Federale Tedesca, rispetto ai Paesi in deficit che hanno dovuto contrarre dei debiti, hanno conseguito elevati avanzi commerciali. Gli Stati Uniti hanno registrato il deficit commerciale di gran lunga maggiore [34], il quale ora è passato dai circa 328 miliardi di dollari – alla fine del XX secolo – agli 816 miliardi di dollari nel 2008 – all’inizio della crisi immobiliare – arrivando poi fino a 1,17 mila miliardi di dollari del 2022. Pertanto, così, gli Stati Uniti assomigliano come a un buco nero nell’economia globale, che soffoca a causa della propria stessa produttività [35], rispetto a cui i Paesi industrializzati orientati all’esportazione possono vendere la loro produzione in eccesso. Ed è per questo motivo che negli Stati Uniti i consumi svolgono un ruolo centrale.

Ciò diventa possibile solo perché il dollaro funge da valuta di riserva mondiale, e sono gli stessi Paesi che registrano eccedenze commerciali con gli Stati Uniti, quelli che ora finanziano anche la creazione del suo deficit, e lo fanno acquistando obbligazioni statunitensi; così, la Cina, che registra enormi eccedenze commerciali, e continua a essere ancora uno dei più importanti creditori esteri di Washington. È proprio questo il fulcro dei circuiti del deficit che si sono instaurati con il neoliberismo, e che sono espressione della costrizione al debito indotta dalla crisi [36] del sistema globale: il capitalismo iper-produttivo si regge sul credito, e gli Stati Uniti – in particolare – hanno registrato deficit commerciali sempre più ampi, mentre i „titoli“ sono stati „esportati“ nella direzione opposta agli Stati Uniti, laddove il settore finanziario, che formava costantemente nuove bolle speculative, stava guadagnando sempre più peso. Tutta una serie di fattori ha posto fine a questo assurdo prolungamento neoliberista della crisi: le crescenti crisi finanziarie – soprattutto quella immobiliare del 2008 -, le conseguenze sociali della deindustrializzazione – tra cui la formazione della Rust Belt -, l’ascesa dei populisti di destra come Trump e, infine, prima la piena inflazione, manifestatasi con la pandemia, e poi la guerra in Ucraina [37], la quale ha reso indispensabile un’inversione di tendenza dei tassi di interesse [*38].

Rimisurare e rideterminare il campo di battaglia

A questo punto, Washington non è più disposta ad accettare gli estremi deficit commerciali degli Stati Uniti, dal momento che i costi conseguenti – politici, sociali ed economici – sono troppo elevati. L’amministrazione Biden non fa altro che proseguire la politica protezionista di Trump. Tuttavia, a partire da questa svolta globale, verso una nuova fase di crisi avviata dagli Stati Uniti, sta cambiando anche la competizione tra gli Stati: i vantaggi che avevano i Paesi orientati all’esportazione, come la Germania, in quella che è l’alba dell’era della de-globalizzazione e del protezionismo si stanno trasformando in degli svantaggi. Il lungo declino dell’Euro [39], che, dal suo massimo storico del 2008, ha perso circa il 50% del suo valore rispetto al biglietto verde, ha favorito le esportazioni tedesche, grazie alla sua sottovalutazione strutturale, finché le rotte commerciali sono rimaste aperte. Ma ora che le barriere commerciali stanno aumentando, ecco che una moneta debole non fa altro che importare inflazione. Gli Stati Uniti sembrano avere tutti i vantaggi dalla loro parte, in modo da poter spingere così l’UE in una posizione periferica dal punto di vista economico e politico, come ha recentemente avvertito, in termini drastici, il think tank europeo „European Council on Foreign Relations“ [40]. In caso di guerre commerciali gravi, i paesi con deficit commerciali hanno il vantaggio strategico di vedersi ridurre il proprio deficit, mentre le aree economiche con un surplus di esportazioni – come la Germania o l’UE – in tali dispute possono solamente perdere. Inoltre, la de-globalizzazione non è caratterizzata solo da una rapida crescita delle barriere commerciali – (il FT ha contato, nel 2022, a livello globale, 801 nuove misure protezionistiche, rispetto alle sole 210 che c’erano nel 2017) [*41] – ma anche da crescenti strozzature e barriere relative all’importazione di importanti materie prime e di risorse, di cui molte nuove industrie hanno bisogno. Rispetto all’UE, gli Stati Uniti hanno il vantaggio strategico della loro macchina militare, che possono utilizzare per intervenire, se necessario, per garantire l’approvvigionamento delle materie prime necessarie. Per i capitali, si tratta di un fattore importante, nel momento in cui decidono dove devono localizzarsi. Infine, è il dollaro USA a consentire a Washington di contrarre prestiti nella valuta di riserva mondiale.

Simultaneamente, però, si sta anche aprendo una nuova zona di battaglia economica strettamente intrecciata agli sforzi protezionisti di Reindustrializzazione messi in atto dagli Stati Uniti: il meraviglioso mondo dei mercati obbligazionari [42]. Con l’inversione dei tassi di interesse, messa in atto dalle banche centrali, anche i tassi di interesse delle obbligazioni statunitensi – note come Treasuries – sono saliti alle stelle; il che significa che nel 2023 il bilancio degli Stati Uniti rischia di essere gravato da un’esplosione dei costi di interesse che va tra i 660 e gli 800 miliardi di dollari. Ragion per cui, proprio nel periodo in cui Washington sta promuovendo la reindustrializzazione degli Stati Uniti, per mezzo di programmi di stimolo economico finanziati dal credito, il bilancio degli Stati Uniti si vede aumentare i costi di indebitamento del suo bilancio [43]. Tutto questo, mentre il classico modo per mantenere bassi i tassi di interesse, nonostante l’enorme indebitamento pubblico, è al momento inaccessibile: la Fed non può acquistare Treasuries, come aveva fatto negli anni precedenti, poiché ciò comprometterebbe la lotta contro l’inflazione; pertanto, quando le banche centrali acquistano il debito pubblico, in realtà stanno effettivamente stampando denaro. Per di più, oltretutto, le banche centrali detengono già nei loro bilanci migliaia di miliardi di titoli di Stato che hanno acquistato con denaro appena stampato nel periodo del „quantitative easing“ [44]. Va anche detto che, inoltre, l’anno prossimo Washington dovrà anche onorare un debito che equivale a circa 7,6mila miliardi di dollari; cosa che farà ulteriormente aumentare la pressione sul mercato obbligazionario (quando i tassi di interesse aumentano, i prezzi delle obbligazioni scendono). Con l’aumento dei tassi di interesse, il calo dei prezzi delle obbligazioni statunitensi non sta solo destabilizzando il settore finanziario – come è avvenuto di recente con la crisi bancaria nella primavera del 2023 [45] – ma, come ha osservato il Financial Times (FT) nell’ottobre 2023 [*46], si arriverà anche a mettere in discussione il ruolo strategico svolto dai „Treasuries“ nel sistema finanziario globale.

Le obbligazioni statunitensi, che dovrebbero costituire la stabile spina dorsale del sistema finanziario globale, sono però detenute da investitori strategici (fondi pensione, compagnie assicurative, ecc.) che hanno bisogno di generare un rendimento affidabile, per quanto basso. La costante volatilità del mercato obbligazionario, le grandi fluttuazioni del valore dei titoli del Tesoro, mettono in discussione una tale funzione di ancoraggio svolta dalle obbligazioni statunitensi, le quali difficilmente possono funzionare come un „rifugio sicuro“ in ambito finanziario. Nel novembre 2023, il FT ha avvertito circa il fatto che „l’offerta“ di Treasuries ha ormai superato da tempo la domanda del mercato, e ciò a causa del fatto che le banche centrali, nell’ambito della lotta contro l’inflazione, hanno dovuto interrompere i loro programmi di acquisto [*47]. Gli analisti hanno risposto al quotidiano che, in questa forma, il „quadro fiscale“ di Washington non può più essere sostenuto.

Negli ultimi anni, La Federal Reserve degli Stati Uniti ha dovuto effettivamente svolgere un ruolo centrale come acquirente di obbligazioni, e questo perché il più importante acquirente estero di obbligazioni statunitensi nel 21° secolo – la Repubblica Popolare Cinese – sta rapidamente riducendo le sue disponibilità di Treasury. Nel 2013, la Cina deteneva circa 1.500 miliardi di dollari in obbligazioni statunitensi; ma nel gennaio 2023 questa cifra era scesa a soli 859 miliardi di dollari [48] Il ritiro della Cina dalle obbligazioni statunitensi, non può essere compensato da altri acquirenti stranieri, come il Regno Unito, e questo soprattutto perché la montagna di debito degli Stati Uniti sta crescendo rapidamente. Nel 2016, un anno prima che Donald Trump entrasse in carica, quasi il 45% di tutte le obbligazioni statunitensi era detenuto da investitori stranieri. Nel secondo trimestre del 2023, invece, era diventato inferiore al 30% [49]. Questo ritiro degli investitori stranieri dal mercato obbligazionario statunitense, che nell’era Trump ha avuto un vero e proprio boom, in realtà è una conseguenza degli sforzi protezionistici di reindustrializzazione messi in atto da Washington.

Tutto ciò può essere compreso solo se viene visto sullo sfondo dei circuiti del deficit di cui dicevamo. L’accordo implicito alla base di questi circuiti, era che le eccedenze di esportazioni dalla Cina agli Stati Uniti, ad esempio, sarebbero stati finanziati acquistando il debito statunitense. Però, non appena Washington pone fine unilateralmente a questo accordo attraverso il protezionismo, a questo punto, per Pechino scompare anche l’incentivo tangibile e materiale che invogliava a continuare a investire il capitale, generato dai proventi delle esportazioni, in obbligazioni statunitensi. In tal modo, l’interruzione unilaterale e l’abbandono, da parte di Washington, dei circuiti del deficit – abbandono, messo in atto con lo scopo di reindustrializzare il paese – porta alla destabilizzazione di quella che è una montagna sempre più crescente di debito degli Stati Uniti. Pertanto, il vantaggio economico rispetto all’Eurozona – vantaggio, del quale i giornali economici statunitensi amano così tanto discutere – si accompagna quindi a dei crescenti rischi finanziari – rischi, ai quali stavolta sono i giornali economici tedeschi quelli che amano sottolineare; e tutto questo con la cattiveria caratteristica del giornalismo economico borghese che vediamo all’opera su entrambe le sponde dell’Atlantico [50]. Al momento, Washington può solo sperare che l’inflazione negli Stati Uniti si stabilizzi più velocemente di quanto avviene nell’Eurozona, in modo da per poter così tornare alla pratica del „quantitative easing“ della Fed (fino a quando, poi, il „quantitative easing“ non tornerà nuovamente ad alimentare l’inflazione). In caso contrario, la politica economica attiva dovrebbe essere interrotta, sottolineando in tal modo la fragilità della ripresa economica negli Stati Uniti [51]. In definitiva, e in ultima analisi, tutte queste controversia di politica economica non fanno altro che eseguire le dinamiche oggettive della crisi in un sistema globale tardo-capitalista, il quale soffre di una crisi strutturale di sovrapproduzione. Il pluridecennale processo di crisi, che si è propagato a partire dagli anni ’80, facendosi strada dalla periferia alla semiperiferia, fino ai centri, si è ora pienamente impadronito di questi ultimi. Ragion per cui, di conseguenza, l’alleanza transatlantica si trova in una situazione di pura competizione di crisi: chi sarà ad affondare e a essere retrocesso nel prossimo episodio della Stagione della crisi? Gli Stati Uniti, la Cina o l’Europa? In questo modo, tutte queste lotte di politica commerciale ed economica agiscono in quanto strumenti della crisi.

Tomasz Konicz – 28 novembre 2023

NOTA: Il lavoro giornalistico di Tomasz Konicz è finanziato in gran parte grazie a donazioni. Se vi piacciono i suoi testi, siete invitati a contribuire – sia tramite Patreon che con un bonifico bancario diretto, dopo una richiesta via e-mail: https://www.patreon.com/user?u=57464083 – https://konicz.substack.com/

NOTE:

1 https://www.wsj.com/articles/europeans-poorer-inflation-economy-255eb629

2 https://www.ft.com/content/e0177eb7-8d17-48aa-a6ad-fccd0655f557

3 https://www.zeit.de/wirtschaft/2023-07/usa-europa-wirtschaftswachstum-wohlstand-lebensstandard-lebenserwartung

4 https://www.zeit.de/2015/29/europaeische-union-krise-veraenderung-bruessel

5 https://www.konicz.info/2018/08/20/griechenland-zu-tode-gespart/

6 https://unrast-verlag.de/produkt/aufstieg-und-zerfall-des-deutschen-europa/

7 https://www.konicz.info/2016/10/25/der-paneuropaeische-haushaltsdiktator/

8 https://www.nd-aktuell.de/artikel/976285.suedeuropa-wird-lateinamerikanisiert.html

9 https://www.konicz.info/2007/03/05/vor-dem-tsunami/

10 https://www.zeit.de/wirtschaft/2023-07/usa-europa-wirtschaftswachstum-wohlstand-lebensstandard-lebenserwartung/seite-2

11 Il crollo del capitalismo di Stato di tipo sovietico nel cosiddetto „blocco orientale“ è stato accompagnato da un crollo simile – a volte ancora più drastico – dell’aspettativa di vita media.

12 https://www.cnbc.com/2023/10/31/62percent-of-americans-still-live-paycheck-to-paycheck-amid-inflation.html

13 https://www.nytimes.com/interactive/2023/09/25/climate/fracking-oil-gas-wells-water.html

14 https://www.tagesschau.de/ausland/amerika/fracking-colorado-101.html

15 https://www.statista.com/statistics/273418/unadjusted-monthly-inflation-rate-in-the-us/

16 https://www.statista.com/statistics/265843/monthly-inflation-rate-in-the-euro-area/

17 https://de.wikipedia.org/wiki/Beggar-thy-Neighbor-Politik

18 https://www.konicz.info/2013/03/15/happy-birthday-schweinesystem/

19 https://www.konicz.info/2010/05/04/krisenmythos-griechenland/

20 https://www.konicz.info/2012/12/21/der-exportuberschussweltmeister/

21 https://www.konicz.info/2018/08/20/griechenland-zu-tode-gespart/

22 https://www.konicz.info/2015/04/18/die-deutsche-exportdampfwalze/

23 https://www.census.gov/foreign-trade/balance/c0003.html

24 https://www.census.gov/foreign-trade/balance/c4280.html

25 https://www.ft.com/content/77faa249-0f88-4700-95d2-ecd7e9e745f9

26 https://francosenia.blogspot.com/2023/11/stiamo-vicini.html

27 https://francosenia.blogspot.com/2023/08/bidenomics.html

28 https://www.manager-magazin.de/politik/weltwirtschaft/eu-usa-gipfel-europaeische-wirtschaft-enttaeuscht-a-280ff7dc-d173-425a-a8c9-f6a204cacccb

29 https://www.tagesschau.de/wirtschaft/weltwirtschaft/us-subventionen-deutsche-konzerne-investitionen-101.html

30 https://www.konicz.info/2015/04/18/die-deutsche-exportdampfwalze/

31 Un breve schizzo del processo di crisi capitalista può essere trovato all’indirizzo: https://oxiblog.de/die-mythen-der-krise/ o https://www.konicz.info/2011/12/23/die-krise-kurz-erklart/
Vedi anche: Robert Kurz, Black Book of Capitalism, disponibile all’indirizzo: https://www.exit-online.org/pdf/schwarzbuch.pdf ; o: Tomasz Konicz, Kapitalkollaps – Die finale Krise der Weltwirtschaft (Ancora disponibile come ebook).

32 https://francosenia.blogspot.com/2022/06/il-tempo-dei-mostri.html

33 https://www.imf.org/en/Blogs/Articles/2023/09/13/global-debt-is-returning-to-its-rising-trend

34 https://www.census.gov/foreign-trade/balance/c0004.html

35 https://www.telepolis.de/features/Die-Krise-kurz-erklaert-3392493.html?seite=all

36 https://oxiblog.de/die-mythen-der-krise/

37 https://www.konicz.info/2021/08/08/dreierlei-inflation/

38 https://francosenia.blogspot.com/2023/11/qualcosa-sta-per-rompersi.html

39 https://www.tagesschau.de/wirtschaft/boersenkurse/eu0009652759-25108390/

40 https://www.brusselstimes.com/622334/europe-is-becoming-a-us-vassal-leading-think-tank-warns

41 https://www.ft.com/content/3bd28362-c006-44c3-9f7f-a89a78452600

42 https://www.konicz.info/2022/07/22/schuldenberge-in-bewegung/

43 https://francosenia.blogspot.com/2023/11/qualcosa-sta-per-rompersi.html

44 https://www.ft.com/content/98cfe9c2-d7de-4825-8d8c-508b309c142f .

45 https://francosenia.blogspot.com/2023/03/le-lacrime-di-sharon-stone.html

46 https://www.ft.com/content/40d9f352-82ed-4e4d-a53b-5f9404613d4a

47 https://www.ft.com/content/7dada684-a6cd-413b-9adb-477b34a7a9f6

48 https://usafacts.org/articles/which-countries-own-the-most-us-debt/

49 Vedi grafico n.4 https://www.yardeni.com/pub/fofforholddebt.pdf

50 https://www.focus.de/finanzen/boerse/aktien/gastbeitrag-von-gabor-steingart-hier-zeigt-sich-die-verwundbarkeit-der-usa_id_247373167.html

51 https://francosenia.blogspot.com/2023/11/qualcosa-sta-per-rompersi.html .

Nach oben scrollen