Inflazione, crollo finanziario o recessione?

Quale delle tre preferiresti? Una breve panoramica – usando l’esempio degli Stati Uniti – di quelle che sono le contraddizioni della politica di crisi capitalista –

di Tomasz Konicz, 23.11.2023

È tempo di festa! Recentemente, i mercati azionari statunitensi hanno dato il via a un vero e proprio spettacolo pirotecnico [1]. Il 3 novembre, dopo che sono stati pubblicati i pessimi dati relativi al mercato del lavoro negli Stati Uniti, si è chiusa anche quella che è stata la migliore settimana di contrattazioni dell’anno in corso. A tutto ottobre, l’economia americana ha creato solamente 150.000 nuovi posti di lavoro, rispetto ai 297.000 del mese di settembre, spingendo così il tasso di disoccupazione relativo al periodo dal 3,8% al 3,9%. Questo rallentamento totale, che equivale a un dimezzamento della crescita dell’occupazione, indica un grave rallentamento economico, se non addirittura una recessione. Questo non è certo un motivo per la festa di cui si diceva e che viene celebrata sul mercato azionario! Eppure, questa reazione apparentemente assurda dei mercati finanziari – i quali di fatto stanno esultando per l’aumento del tasso di disoccupazione – ha di certo una sua logica di crisi. I mercati, in questo modo, stanno semplicemente speculando sulla fine di quella politica che, per combattere l’inflazione, si basava sugli elevati tassi d’interesse delle banche centrali. La diminuzione del numero dei posti di lavoro, e l’aumento della disoccupazione indicano che la crescita dei salari sta rallentando e che la domanda dei consumatori si sta indebolendo; il che dovrebbe servire a mitigare ulteriormente quella che è un’ostinata e persistente inflazione. L’obiettivo vuole essere evitare che si inneschi una spirale inflazionistica salari-prezzi in cui l’aumento dei prezzi e dei salari si alimenterebbe a vicenda. L’ondata di inflazione può essere contenuta solo se ci saranno più salariati con un minore potere di acquisto: e semplicemente questo il calcolo speculativo che sta dietro i fuochi d’artificio delle quotazioni in borsa. Ora, il lavoro della Federal Reserve statunitense sarà molto più semplice, ha osservato Reuters [2], nel mentre che anche l’aumento dei salari rallentava fino al 4,1%; il livello più basso da giugno 2021. Ciò renderebbe assai improbabili degli ulteriori rialzi dei tassi dei quali si è discusso (per il momento la Fed non vuole parlare di possibili tagli dei tassi). E all’inizio di novembre 2023, è esattamente su questo che le borse stavano speculando sul loro mercato finanziario al rialzo. Per il settore finanziario, l’aumento dei tassi di interesse – lo strumento più importante nella lotta all’inflazione – è un veleno. Sebbene la politica monetaria restrittiva delle banche centrali sia quanto meno riuscita a frenare l’inflazione in quello che è il centro del tardo capitalismo, allo stesso tempo – così facendo – ha messo sotto pressione la sfera finanziaria delle società sovra-indebitate, i cui operatori di mercato come minimo speculano sulla fine degli aumenti dei tassi di interesse. Pertanto, quella stessa politica di crisi che viene utilizzata per combattere l’inflazione, ora sta simultaneamente destabilizzando la sfera finanziaria. A un certo punto, «qualcosa dovrà pur rompersi», come ha detto all’inizio di ottobre Mohamed El-Erian, economista capo di Allianz, descrivendo la situazione frantumata della sfera finanziaria vista alla luce della politica degli alti tassi di interesse attuata delle banche centrali [*3]. La relazione sul mercato del lavoro del mese di settembre – quando erano stati creati quasi 300.000 posti di lavoro – è stata «una buona notizia per l’economia», ma «una cattiva notizia per i mercati (finanziari) e per la Fed». Ci si può però chiedere, che cos’è esattamente che può «rompersi» nella gonfiata sovrastruttura finanziaria delle imprese sovra-indebitate del centro capitalista?

Link: https://francosenia.blogspot.com/2023/11/qualcosa-sta-per-rompersi.html

Un mercato obbligazionario instabile

Innanzitutto, si tratta dei mercati obbligazionari – la base del sistema finanziario globale [4] – che sono stati al centro dell’ultimo «terremoto finanziario» del marzo 2023 [5], allorché un certo numero di banche si è trovato in difficoltà – o hanno dovuto addirittura essere liquidate – dopo che la politica degli alti tassi di interesse aveva fatto crollare il valore di mercato dei titoli di Stato. Le obbligazioni emesse da paesi centrali, come la Germania o gli Stati Uniti, conservate come garanzia a basso rendimento fino alla loro scadenza nominale, ma il loro valore di mercato diminuisce nella misura in cui vengono aumentati i tassi di interesse (dal momento che così hanno un rendimento inferiore), cosa questa che può mettere in difficoltà perfino i grandi operatori di mercato, non appena sono costretti a dover improvvisamente vendere obbligazioni. Questo è stato il caso della Silicon Valley Bank, lo scorso marzo: è stata costretta a vendere urgentemente delle obbligazioni, che ha portato alla sua insolvenza, e ha innescato una crisi bancaria. Pertanto, i tassi d’interesse e il valore delle obbligazioni hanno un valore proporzionalmente inverso: quando i tassi d’interesse scendono, i prezzi delle obbligazioni salgono, mentre l’aumento dei tassi d’interesse provoca la diminuzione dei prezzi delle obbligazioni. Lo stress e la pressione. indotti dalla lotta contro l’inflazione e dagli elevati tassi d’interesse di riferimento nel settore finanziario, sono perciò visibili in quello che è l’andamento dei tassi d’interesse dei titoli di Stato statunitensi. All’inizio di ottobre, i titoli decennali statunitensi ha raggiunto un tasso di interesse del 5%; il livello più alto dalla crisi finanziaria globale del 2007 [6]. Il valore di mercato delle obbligazioni a lungo termine, in media, dal picco del 2020 è diminuito del 46% [7]. Questo elevato tasso di interesse obbligazionario, sta avendo un impatto sull’intera sfera finanziaria, così come anche sulle finanze pubbliche: non è più solo una questione di vendite di emergenza da parte di banche a corto di liquidità, che si trovano in difficoltà a causa del calo del valore di mercato delle obbligazioni.

Tassi d’interesse sui Titoli e oneri di bilancio

Tuttavia, gli alti tassi di interesse, e il calo del valore di mercato dei titoli di Stato statunitensi („Treasury“) non sono dovuti solo alla lotta contro l’inflazione da parte delle banche centrali; ma anche allo stesso governo. Secondo Reuters, l’aumento del debito pubblico del governo degli Stati Uniti, sta portando a un’«impennata di emissioni obbligazionarie», cosa che rende ancora più dispendioso per il governo il pagamento del debito (l’aumento dell’«offerta» di debito pubblico, nel momento in cui essa diventa più conveniente, può essere venduta solo a tassi di interesse più elevati) [8]. Di conseguenza, Washington deve spendere sempre più risorse per il pagamento del suo debito. L’aumento dei tassi di interesse, nei primi nove mesi di quest’anno è costato ai contribuenti statunitensi 625 miliardi di dollari [9]; il che rappresenta un aumento del 25% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Entro la fine dell’anno, si prevede che il servizio del pagamento degli interessi consumerà più di 800 miliardi di dollari [10]. Per fare un confronto, la voce del bilancio della difesa di Washington, nel 2022 è stata di 877 miliardi di dollari [11]. Inoltre, nell’ambito della lotta contro l’inflazione, la Federal Reserve statunitense sta anche riducendo il proprio bilancio gonfiato, il quale che era arrivato a 8,9 miliardi di dollari, riducendo drasticamente i suoi consueti acquisti di obbligazioni e titoli – che erano abituali nell’era della bolla di liquidità [12] – facendo così in modo che i nuovi acquisti siano inferiori al valore dei titoli in scadenza [13]. In precedenza, Washington era stata in grado di fare affidamento sul fatto che la Fed acquistasse semplicemente i titoli di stato con il denaro appena stampato, in modo da finanziare così il deficit di bilancio. Questa operazione di stampa di denaro – che aveva inflazionato il bilancio della Fed, portandolo da meno di un miliardo, nel 2008, a quasi nove miliardi di dollari nel 2022 – è stata ostacolata dall’inflazione. Oramai, Washington non può più semplicemente limitarsi a stampare denaro fresco in modo da mantenere basso così il costo del debito nazionale. Il Financial Times parla di un «eccesso di offerta» di titoli di Stato [*14], e scrive che questo accelera la loro svalutazione.

Sfera finanziaria e tassi d’interesse di riferimento

Gli elevati tassi d’interesse con cui le banche centrali stanno imponendo per combattere l’inflazione, si ripercuotono sull’intera sfera finanziaria: ad esempio, l’infuocato mercato immobiliare degli Stati Uniti, dove i tassi d’interesse ipotecari sui mutui sono saliti arrivando fino all’otto per cento; il livello più elevato raggiunto negli ultimi 20 anni [15]. Due anni fa anni, i tassi d’interesse sui mutui ipotecari si aggiravano in media intorno al 3% [16]. L’esplosione dei costi, indica che ci sono sempre meno lavoratori dipendenti che possono permettersi la proprietà della casa; il che accelera ulteriormente l’erosione sociale negli Stati Uniti (la proprietà della casa rappresenta la sicurezza sociale centrale della classe media negli Stati Uniti). Attualmente, per permettersi una casa è necessario un reddito medio annuo di $ 115.000, cifra che è di circa $ 40.000 in più rispetto al salario medio [17]. La percentuale di salario, che gli acquirenti di immobili dovrebbero spendere per il loro indebitamento è così salita al 40%, rispetto a quello che negli 25 anni era stato circa il 35%. Una tale situazione, non solo di fatto blocca l’ascesa sociale della classe media, ma sta anche facendo rapidamente aumentare il pericolo che negli Stati Uniti ci possa essere un’altra crisi immobiliare e una recessione economica, come sta già avvenendo nella Repubblica Federale Tedesca [18]. Ovunque, nella sovrastruttura finanziaria, laddove si sono accumulate enormi passività, c’è quel qualcosa che minaccia di «rompersi». Ad esempio, il debito delle carte di credito, che nel 2023, per la prima volta, supererà la soglia dei mille miliardi di dollari, o il debito societario delle imprese, per le quali nei prossimi anni scadranno debiti per circa 3 mila miliardi di dollari. Il volume del mercato del debito societario delle imprese statunitensi con il rating più alto ammonta a 8,4 mila miliardi di dollari; il tasso di interesse è salito a poco più del 6%, rispetto a quello che nel 2020 era solo del 2% [19]. Alla fine, gli alti tassi di interesse stanno destabilizzando anche i mercati azionari, che continueranno a essere soggetti a forti fluttuazioni e a una grande instabilità (all’inizio di ottobre, un buon report sul mercato del lavoro ha fatto crollare il Dow Jones di 430 punti) [20], e questo finché i rendimenti obbligazionari si manterranno elevati [21]. È quindi improbabile che l’impennata del rialzo dei mercati menzionati all’inizio di questo articolo, possa essere mantenuta a lungo termine. L’era delle bolle durature nei mercati finanziari sembra essere già finita. Una discesa dei tassi d’interesse ridurrebbe rapidamente questa pressione di crisi che pesa sull’intero sistema finanziario. Si ridurrebbe il rischio che qualcosa si «rompa» immediatamente. Da questo ne deriva una costellazione apparentemente assurda nella quale le cattive notizie provenienti dal mercato del lavoro – che potrebbero indicare la fine della politica dei tassi d’interesse elevati – vengono accolte con favore dai mercati azionari. Per il momento, il tasso di inflazione reale effettivo non può servire a questo scopo. Di fatto, negli ultimi mesi è addirittura leggermente aumentato [22] – e con il suo 3,7%, si trova ancora assai lontano da quei due punti percentuali previsti dalla politica monetaria. Dopo che nel maggio 2022 aveva raggiunto il picco dell’8,6%, la Fed è riuscita a far scendere l’inflazione portandola nel giugno 2023 fino al 3% grazie agli alti tassi di interesse, e ponendo fine alla stampa di denaro per l’acquisto di obbligazioni; ma da allora l’inflazione dei prezzi ha nuovamente accelerato. Essenzialmente, l’inflazione è notevolmente accelerata a causa di fattori esterni [23] derivanti dal limite ecologico raggiunto dal capitale [24]; fattori che semplicemente si collocano fuori dal controllo della Fed.

Recessione imminente nella trappola della crisi

Pertanto, di conseguenza l’inflazione può essere combattuta solo riducendo i consumi, grazie all’aumento della disoccupazione, e attraverso una diminuzione di fatto dei salari (negli ultimi mesi, i salari reali sono aumentati un po‘ più dell’inflazione). Tuttavia, l’esultanza dei mercati per i modesti numeri sul mercato del lavoro si è ben presto mescolata allo scetticismo. La relazione ha innescato un «mix di preoccupazione e di rassicurazione», come ha titolato il New York Times (NYT), dato che le preoccupazioni per un «surriscaldamento» inflazionistico dell’economia potrebbero trasformarsi nella paura di una recessione [25]. Secondo un recente sondaggio tra gli economisti, citato dal NYT, una risicata maggioranza relativa del 49% degli intervistati si aspetta che ci sarà una «recessione nei prossimi 12 mesi», mentre il 42% ritiene che a livello economico sia ancora possibile un «atterraggio morbido». I media sono persino arrivati ad avvertire che i mercati avrebbero letteralmente inscenato un «rallentamento verso la recessione», dal momento che gli indicatori fondamentali indicavano una contrazione [26]. In primo luogo, la forte crescita negli Stati Uniti (l’1,2% nel terzo trimestre del 2023, rispetto al secondo trimestre) si deve al consumo privato generato dalla riduzione dei risparmi che si erano costituiti durante la pandemia. Inoltre, la classe media statunitense, un tempo numerosa, si è dissolta a tal punto che un lungo boom dei consumi finanziato dal credito, come era comune nell’era della bolla finanziaria neoliberista, non è più possibile. Secondo dati recenti, circa il 62% dei salariati negli Stati Uniti – «in forte espansione» – non è in grado di costituire riserve finanziarie significative [27]. Vivono di stipendio in stipendio. La famosa e ampia „classe media“, negli Stati Uniti è quindi a tutti gli effetti una reliquia del passato [28]. A questo si aggiunge l’aumento della spesa pubblica negli ultimi due anni (che, come detto, sta portando ora a un forte onere di interessi sul bilancio statunitense) [29]. Gli Stati Uniti, che, dopo la fine della pandemia, hanno potuto – anche grazie alle misure protezionistiche – registrare il miglior sviluppo economico tra tutti i paesi industrializzati, ora, nel medio periodo, si trovano a essere effettivamente minacciati da una recessione. La paura dell’inflazione, e la minaccia di un crollo finanziario, si stanno trasformando ora nella paura della recessione, la quale, se sarà abbastanza profonda potrebbe anche avere un effetto destabilizzante. Tutto questo, è semplicemente la concretizzazione della trappola della crisi che sta alla base [30] e in cui si trova la politica economica tardo-capitalista [31]. Con l’avvento e lo scoppio dell’inflazione, non è più possibile continuare a mantenere il capitalismo – che sta soffocando nella sua produttività – in quella che appare come una sorta di vita da Zombie, in cui ci si continua a indebitare nel quadro di un‘ economia delle Bolle, nutrita dai mercati finanziari [32]. Ed ecco che, di conseguenza, ora i politici non possono fare altro che scegliere quale sarà la strada della crisi da percorrere: recessione, crollo finanziario o inflazione? E questo perfino anche negli Stati Uniti, che finora, grazie al protezionismo dell’amministrazione Biden [*33], erano riusciti a socchiudere un po‘ la porta alla crisi, sganciandosi così, in qualche modo da quello che è stato lo sviluppo della crisi nell’eurozona. Ma ora, questa dinamica di crisi può solo essere ritardata.

Tomasz Konicz [*** 10/11/2023]

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