RADICALISMO VS. ESTREMISMO

di Tomasz Konicz [***], 02.11.2022

Riflessioni sulla lotta per la trasformazione antifascista, nella palese crisi sistemica –

«Il male è sempre e solo estremo, mai radicale, non ha profondità e non ha nulla di demoniaco. Può invadere tutto devastare il mondo intero, proprio perché si diffonde in superficie, come un fungo. Ma solo il bene ha profondità, e può essere radicale.» – Hannah Arendt –

Da dove arrivano improvvisamente tutti questi «estremisti» che – facendo uso della demagogia sociale – cercano ora di dominare tutte le attuali proteste sociali? [1] Nel circo mediatico tedesco – laddove l’ignoranza diventa un vantaggio competitivo – la minaccia estremista che incombe su un «centro» democratico della società, viene sempre vista come se essa emergesse dai suoi margini, come se in fondo provenisse solamente da un esterno immaginario. Come se degli estremisti alieni si stessero impadronendo della buona democrazia borghese. Tutta questa follia sfrenata, [2] in fondo non potrebbe scaturire invece proprio dallo stesso mondo capitalistico, che ora sembra organizzato in maniera razionale? Il concetto di estremismo che viene utilizzato nella sfera pubblica, in realtà è vuoto; ed esso non si limita a misurare il «divario» politico e ideologico esistente tra il centro moderato e le «frange» militanti dello spettro politico. Nel suo enumerare le caratteristiche esterne e i metodi estremi, facendolo, diventa anche espressione delle condizioni politiche maggioritarie prevalenti. Il centro, che è il luogo politico dove si trovano le maggioranze, mentre si presuppone che gli «estremi» della «frangia folle» [3] formino delle piccole minoranze. A partire da questo, il termine comune di estremismo descrive pertanto solo il limite del sistema politico delle coordinate politiche. E questo sistema di coordinate, in ogni caso, rimane soggetto a dei cambiamenti che nel corso degli anni, in interazione con sempre nuove crisi, lo stanno orientando con forza sempre più verso destra. Ad ogni modo, tutti gli esponenti dell’establishment politico borghese vogliono davvero far parte del centro. E l’AfD non fa eccezione [4]. Con il mutamento delle coordinate del sistema politico coordinato, iniziato con il dibattito di Sarrazin e proseguito poi con la crisi dell’euro, con la crisi dei rifugiati e con la marcia dell’AfD, per culminare alla fine nella sindrome del coronavirus dei pensatori trasversali, il sistema politico delle coordinate sta cambiando ancora. Se non altro perché altri partiti e altre forze politiche stanno reagendo ai successi della destra, soprattutto cercando di copiare o di adattare alcune componenti della «ricetta del successo» ideologico della nuova destra, come ad esempio sta cercando di fare la signora Wagenknecht [5]. Di conseguenza, le opinioni a proposito di ciò che viene considerato «normale», e parte del «centro», nel corso dell’ascesa della nuova destra, sono cambiate. Ciò che un tempo era considerato disordine e «bruno» ora diventa normalità [6]. Tale criterio, ora è diventato parte anche della strategia della nuova destra, la quale cerca di ottenere la sua egemonia discorsiva infrangendo deliberatamente i tabù, calpestando ogni minimo standard di civiltà [*7].

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Ideologia ed estremismo di centro
L’«estremismo» perciò trova aderenti nel centro della società, laddove il concetto borghese di estremismo – che si situa nell’ambito dell’ideologia del totalitarismo – perde ogni e qualsiasi significato, essendo di conseguenza «estremamente inutile» [8]. Nella parte orientale della Repubblica Federale Tedesca, l’AfD è da tempo il partito più forte. Di conseguenza, esso può ancora essere «estremista»? [9] E tuttavia, un concetto modificato di estremismo diventa indispensabile per riuscire a comprendere quella che è l’ascesa della nuova destra nella crisi. Ma ha bisogno di essere compreso proprio come un «estremismo di centro» legato alla crisi, come una reazione ideologica alle distorsioni della crisi, soprattutto degli strati medi, della borghesia. L’ideologia non va intesa come una mera fantasia, o come un prodotto dell’immaginazione, bensì come una percezione distorta della realtà sociale e che a sua volta cerca di giustificarla e legittimarla nonostante tutte le contraddizioni e distorsioni. Di conseguenza, in tal modo l’ideologia fa sempre riferimento alle contraddizioni della società in cui viene incubata. Pertanto, la critica ideologica è anche critica sociale. L’ideologia viene prodotta proprio al centro, nell’industria culturale e nel business dei media, e reca sempre con sé un momento di verità ideologicamente distorto; fabbrica mezze verità in modo da far rassegnare le persone a una forma autodistruttiva di sistema economico che è sempre più evidentemente devastante per la società, per i sistemi climatici e per l’ambiente.
In tal modo, in reazione all’esplosione delle crisi, l’ideologia di crisi della destra sospinge i modelli di legittimità e le narrazioni dominanti del «centro» verso un’estremizzazione ideologica nell’ambito di una ribellione conformista. In questi termini, soltanto il concetto di estremismo di centro può riuscire a far luce sui fondamenti dell’ideologia di crisi della destra – la quale è radicata proprio in ciò che è esistente e apparentemente «comune» – e può farlo solo a condizione di venir preso sul serio, e non solo usato come se si trattasse di un involucro concettuale puramente formale con cui coprire, in termini di teoria del totalitarismo, quelle forze che si trovano ai margini dello spettro politico. Facendo così, da un lato, la nuova destra si ispira a dei punti di vista, valori e insiemi ideologici che prevalgono nel mainstream delle società interessate. Questa ideologia di classe media, la cui forma è stata plasmata in maniera determinante dall’egemonia neoliberale degli ultimi tre decenni, viene ora esacerbata in reazione alla dinamica di crisi, e viene portata all’estremizzazione ideologica. Perciò non sono delle forze «esterne», quelle che si oppongono al centro borghese e che mettono in discussione molte norme di civiltà. Il centro, insicuro a causa della crisi, sta incubando da sé solo, del tutto per conto proprio, le ideologie della disuguaglianza umana. Quindi, non è il desiderio di cambiare il mondo a guidare l’estremismo di centro, ma si tratta piuttosto del riflesso reazionario di aggrapparsi con le unghie e con i denti alla società tardo-capitalista squassata dalla crisi. Di conseguenza, è necessario evidenziare le continuità tra il centro e l’ideologia populista di destra. Non si tratta di forma, bensì di contenuto ideologico concreto. Ed è solo nell’analisi del contenuto concreto dell’ideologia della nuova destra – e del suo radicamento nel mainstream delle società tardo-borghesi – che il concetto succitato di estremismo di centro diventa pienamente comprensibile. Questa continuità ideologica, tra l’altro, chiarisce anche il perché la nuova destra sia in grado di vincere le elezioni così rapidamente. Non è nemmeno necessaria una qualche rottura ideologica. È lo stesso binario ideologico, ben collaudato, quello su cui viene spinto fino all’estremo il cittadino paranoico che suda di paura.

La compulsione alla concorrenza e il nazionalismo della localizzazione economica
Quali sono i concetti ideologici, rese egemonici nel «centro», soprattutto durante l’era del neoliberismo, che ora vengono esacerbate e portate all’estremo dalla nuova destra? Innanzitutto, l’idea di concorrenza, la quale, col neoliberismo, si è impadronita di quasi tutti i settori della società [10] Ed è chiaro che il populismo di destra e l’estremismo di estrema destra, in tutte le sue varietà, hanno sempre abbracciato con entusiasmo il principio di concorrenza, modificandolo ed esacerbandolo sotto molte forme differenti. Le ideologie di destra conferiscono a questo principio fondamentale dell’economia capitalista – la concorrenza di mercato – un significato «più elevato», atemporale, immaginando la concorrenza in quanto lotta, quasi fosse un eterno principio di base della coesistenza umana: qui lo spettro ideologico va dalle idee del darwinismo sociale, a quelle del culturalismo, del razzismo, dello sciovinismo economico, e arriva fino al delirante sistema manicheo del nazionalsocialismo tedesco, che aveva allucinato un’eterna lotta di competizione e sopravvivenza tra ariani ed ebrei. L’odio nei confronti dei «benefattori», e per l’azione morale, è appunto espressione di questo imbarbarimento della concorrenza capitalistica indotta dalla crisi, la quale è caratteristica del fascismo. Il punto fino a cui, in questo senso, l’egemonia della nuova destra è già arrivata, è reso evidente dai protagonisti del fronte trasversale, in rapida erosione, e che si è aperto alla destra della sinistra. Su Freitag (40/2022), ad esempio, Christian Baron ha stigmatizzato come «moralistica» qualsiasi critica alla lunga campagna dell’AfD di Wagenknecht sulla crisi finanziaria e dei rifugiati [11]. Non solo ha scambiato per moralismo la critica radicale alle macchinazioni della frangia bruna del «partito della sinistra», ma ha anche riproposto il solito risentimento della nuova destra, quello che promuove la barbarie – indotta dalla crisi, basata sul principio di concorrenza – attraverso l’odio per i principi fondamentali della civiltà.

Un corrispondente impulso che spinge verso l’estremo del centro, si sta verificando anche a livello identitario, a livello di identità nazionale. L’era della globalizzazione neoliberale ha dato origine a una forma particolare di nazionalismo, e ha causato una modifica dell’identità nazionale nelle classi medie della Germania – il «campione mondiale delle esportazioni» – fortemente influenzate dal pensiero economico. Questo nazionalismo della localizzazione economica – che basava il proprio sciovinismo sul successo ottenuto a partire dalla concorrenza sul mercato mondiale – ha coinciso con un cambiamento nei modelli nazionalisti di esclusione. Il culturalismo, il razzismo e la xenofobia sono stati spesso mediati economicamente. Nel quadro di questo rancore su base economica, la gerarchizzazione culturale o razziale delle nazioni e delle minoranze deriva proprio dalla loro posizione economica nell’economia globale o nazionale in questione. Si dice che il successo economico sia indice di superiorità genetica o culturale – soprattutto in Germania soprattutto a partire dalla sua giusta attitudine al lavoro – mentre invece l’impoverimento e l’emarginazione vengono inversamente attribuiti alle carenze genetiche o culturali. Questo risentimento si è già spesso manifestato pubblicamente, nel corso della discussione che c’è stata intorno al libro di Thilo Sarrazin [12], che ha suscitato il consenso pubblico durante la crisi dell’euro, quando Schäuble ha vessato la Grecia con nuovi «pacchetti di austerità» [13]. Inoltre, l’ideologia di crisi della destra allucina le vittime della crisi come se esse ne fossero i responsabili. Secondo Sarrazin, i beneficiari di Hartz IV sono responsabili della loro miseria a causa del loro cattivo patrimonio genetico; secondo Schäuble, i pigri europei del sud sono responsabili della crisi dell’euro; secondo Wagenknecht, i rifugiati abusano del «diritto all’ospitalità».

Questa personificazione delle cause della crisi in quelli che sono i corrispondenti capri espiatori, mostra molto concretamente che la crisi è anche un processo storico in corso che promuove lo «spostamento ideologico verso l’estremo» dell’ideologia esistente: L’Agenda 2010, che ha prodotto la miseria di Hartz IV, che un Sarrazin ha poi voluto attribuire a carenze genetiche, la crisi del debito europeo, i movimenti di fuga in direzione dei centri provenienti dalle periferie che collassano in guerre civili, sono tutte fasi concrete di un processo di crisi del sistema capitalistico globale che procede a tappe [*14].

Risposta nazionale e «questione sociale»
La demagogia sociale della nuova destra, che attualmente riscuote successo soprattutto nell’ex DDR, e che ha reso l’AfD il più forte dei partiti, si basa per l’appunto sul dare una risposta nazionale alla «questione sociale», secondo quelli che sono i familiari schemi di pensiero formatisi nella brutalizzazione del neoliberismo: la «pace sociale» va conquistata a spese di tutti coloro che non vengono considerati parte del collettivo nazionale. Le narrazioni di destra, a proposito degli stranieri che vogliono solo i nostri soldi, oppure sui complotti per ridurre il nostro gas naturale, vanno di pari passo con le lamentele per l’aumento dei prezzi e l’erosione sociale. Questo nazionalsocialismo in fieri, che ha effetti anche sul „Partito della Sinistra “ [15], vuole in tal modo esternare – come fece il suo modello storico – le contraddizioni interne del capitale esacerbate dalla crisi, proiettandole all’esterno. Sono gli stessi meccanismi che sono emersi nel corso della crisi dell’euro, per esempio, nel momento in cui i greci, gli italiani, gli spagnoli o i portoghesi sono stati dichiarati essere la causa della crisi del debito, la quale oltretutto però non sarebbe mai nemmeno esistita senza che ci fossero state le eccedenze commerciali estreme in esaurimento della repubblica tedesca [16].
Questo processo di «brutalizzazione» estremista di centro può pertanto essere tracciato in maniera abbastanza concreta: al più tardi, a partire dall’inizio del XXI secolo, in interazione con i focolai di crisi, nella Repubblica Federale Tedesca ha avuto inizio un «riarmo» ideologico, nel corso del quale la linea di pensiero familiare non solo non viene abbandonata, ma è portata all’estremo. Nella crisi sistemica, la logica capitalista non viene messa in discussione dalla stragrande maggioranza della popolazione, bensì portata fino alla barbarie. Per il populismo di destra, quelli che sono stati decenni di condizionamento neoliberale dello spazio pubblico diventano così una garanzia di successo elettorale in tempi di crisi. Tutto ciò che si deve fare, è continuare ad alimentare le paure esistenti, a nutrire il risentimento che già esiste, a dare ancora più impulso al riarmo ideologico attraverso la «coraggiosa rottura dei tabù» (è stato un simile estremismo di centro quello che, negli Stati Uniti, ha portato un Donald Trump alla Casa Bianca). La formula dell’«estremismo di centro» populista di destra sta funzionando perfettamente. Ciò che si vede emergere dal centro spaventato (e tale paura è fin troppo giustificata) della società, sotto forma di emozioni barbariche nei confronti di eventi di crisi mal compresi, si riversa nella politica: Chiudere le frontiere! Fuori gli stranieri! Lavori forzati per quelle bocche inutili! Prima la Germania! E così, alla fine, diventa abbastanza facile diventare un nazista. In quasi tutti gli Stati europei, il populismo di destra riesce a trionfare proprio perché è così tanto facile da capire: non è necessario attuare alcuna rottura mentale. Ed è semplice perché, in quanto ribellione conformista, non cerca alternative, ma rimane sulla superficie delle apparenze. Quelle che sono tutte le linee di pensiero ideologiche profondamente radicate non devono essere abbandonate; esse portano quasi naturalmente alla barbarie che appare all’orizzonte.

Essere radicali significa andare alla radice
Ciò che bisogna fare, tuttavia, non è ripetere a pappagallo tutti quei crescenti risentimenti alimentati da forme decadenti di ideologia capitalista, come ad esempio viene fatto dal „Partito della Sinistra“ di Wagenknecht [17], bensì mettere in atto una chiara rottura con la logica del sistema, in modo da dare inizio a un’ampia discussione sociale su quali possono essere le alternative sistemiche alla crisi capitalista continua, e avviare così un movimento di trasformazione [18]. Aggrapparsi a categorie e a concetti come Stato, popolo, nazione, mercato, denaro, capitale, i cui equivalenti sociali reali si stanno disintegrando proprio a causa della crisi, può solo portare alla catastrofe. Una rottura radicale con quello che è il discorso capitalista dominante sulla crisi, che si sta rapidamente inselvaggendo, è una necessità assoluta proprio di fronte alla crisi. Essere radicali significa affrontare un problema in maniera fondamentale, penetrando il problema fino alla radice (radix). È per questo che la radicalità non costituisce uno stadio preliminare all’estremismo, come spesso viene erroneamente suggerito dal vuoto discorso tardo-borghese sull’estremismo. La radicalità è l’opposto dell’estremismo. Mentre quest’ultimo rimane sulla superficie dei fenomeni, spingendo all’estremo quell’ideologia che prevale al centro, la radicalità invece cerca la profondità per riuscire a penetrare fino ad arrivare al nucleo, all’essenza dei fenomeni. Pertanto, la lotta contro la nuova destra, per poter essere coerente , e in definitiva vincente, dovrà essere accompagnata da una riflessione radicale, tale da produrre una prassi adeguata. Un antifascismo radicale dovrà perciò combattere la rinascita del fascismo, non solo come se si trattasse di un fenomeno esterno, ma anche vedendolo come la forma terroristica della crisi del dominio capitalista. Nel suo spingere all’estremo, l’ideologia di crisi della nuova destra ha le sue radici nel centro neoliberale, ed è espressione di alcune contraddizioni assai concrete che stanno aumentando proprio a causa della crisi: la crisi sociale, così come la crisi ecologica del capitale, che sta raggiungendo i limiti del suo sviluppo e minaccia di trascinare l’umanità nell’abisso, nella barbarie. Ma è proprio la nuova destra il soggetto politico che esegue concretamente questo impatto oggettivamente minaccioso con la crisi sistemica. Ciò vale in particolare per la crisi climatica, che la nuova destra affronta da un lato a partire dalla sua banalizzazione e dal negazionismo, e dall’altro attuando una deriva verso l’eco-fascismo [19]. Un antifascismo radicale, che comprenda il fascismo come forma di una crisi – potenzialmente omicida di massa – del dominio capitalista, si sforzerà quindi di comprendere e condurrà la lotta contro il pericolo fascista come se essa fosse un momento parziale dell’inevitabile lotta di trasformazione in un futuro post-capitalista [20]. La costruzione di un’ampia alleanza antifascista – come quella già praticata con successo negli anni Novanta – dovrà andare di pari passo con l’aperta tematizzazione della crisi sistemica e del ruolo della nuova destra, in quanto esecutrice delle potenzialità barbariche e distruttive scatenate da quel processo [21]. Così, nell’attuale fase di sviluppo della crisi globale del capitale, la lotta antifascista, nell’ambito della lotta contro l’estrema destra [22], svolge il ruolo centrale di mantenere aperta la possibilità di un percorso emancipatorio di trasformazione. Di fatto, le forze emancipatrici dovranno praticare esattamente l’opposto di quella che è la demagogia sociale, aperta a destra [*23], del „Partito della Sinistra“ di Sahra Wagenknecht.
La rottura con il capitalismo, che sta sprofondando in una crisi permanente – e che porta il fascismo al suo interno, allo stesso modo in cui una nuvola di tempesta porta la pioggia – è necessaria perché ci pone oggettivamente di fronte a una scelta. O la trasformazione del sistema avviene sotto forme di barbarie fascista, o si lotta per una trasformazione emancipatrice. La realtà sociale, segnata dalla spumeggiante ideologia fascista della crisi, è il metro di misura della prassi antifascista radicale, prassi che deve andare alla radice della reale crisi sistemica del capitalismo. Non si tratta di un semplice volontarismo, ma della presa di coscienza della necessità di un antifascismo trasformativo.

  • Tomasz Konicz – Pubblicato il 27/10/2022 su Tomasz Konicz. Nachrichten und Analysen: Wertkritik, Krise, Antifa –

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NOTE:

1 https://www.mdr.de/nachrichten/deutschland/gesellschaft/wer-protest-ost-deutschland-inflation-100.html

2 https://www.konicz.info/2020/05/25/die-verbrechen-des-bill-gates/

3 https://en.wikipedia.org/wiki/Lunatic_fringe

4 https://www.zeit.de/politik/deutschland/2016-03/afd-analyse-erfolg-landtagswahlen-partei-waehler

5 https://www.konicz.info/2021/06/29/schreiben-wie-ein-internettroll/

6 https://www.kontextwochenzeitung.de/politik/444/neue-braune-normalitaet-6213.html

7 https://www.konicz.info/2018/01/17/oesterreich-mit-permanenten-tabubruechen-wird-eine-neue-normalitaet-geschaffen/

8 Vgl. Eva Berendsen u.a.: Extrem unbrauchbar – Über Gleichsetzungen von links und rechts, Berlin 2019.

9 https://www.facebook.com/photo/?fbid=645182253946598&set=a.122195239578638

10 https://www.konicz.info/2017/09/22/national-und-neoliberal-2/

11 Qui, in un evidente abuso di una citazione di Droste, si legge letteralmente: «… „Se il cervello viene trascurato, la morale viene ripresa con gusto“, scriveva lo scrittore Wiglaf Droste, purtroppo scomparso. Lo si può vedere in tutti i principali dibattiti degli ultimi anni. Durante la crisi finanziaria dal 2007 in poi, la sinistra liberale „buona“ ha interpretato la protesta „cattiva“ contro le grandi banche come una „critica tronca del capitalismo“ che sarebbe „strutturalmente antisemita“. Durante la „crisi dei rifugiati“ del 2015, coloro che hanno sottolineato la necessità di una „cultura dell’accoglienza“ non solo per i rifugiati, ma anche per gli abitanti del luogo che temono il declino sociale, perché altrimenti la legittimità democratica degli aiuti ai rifugiati sarebbe a rischio, si sono ritrovati diffamati come „razzisti“….“. fonte: https://www.freitag.de/autoren/cbaron/wagenknecht-putin-afd-querfront-einwurf-in-eine-bezeichnende-debatte

12 https://www.sopos.org/aufsaetze/4ca59c0843dfe/1.phtml.html

13 https://www.heise.de/tp/features/Willkommen-in-der-Postdemokratie-3374458.html?seite=all

14 https://oxiblog.de/die-mythen-der-krise/

15 https://www.konicz.info/2016/08/11/die-sarrazin-der-linkspartei/

16 https://www.konicz.info/2010/05/04/krisenmythos-griechenland/

17 https://francosenia.blogspot.com/2022/10/autunni-caldi.html

18 https://www.untergrund-blättle.ch/politik/theorie/transformationskampf-statt-klassenkampf-7289.html

19 https://www.konicz.info/2019/08/30/der-alte-todesdrang-der-neuen-rechten/

20 https://www.konicz.info/2022/10/05/transformationskampf-statt-klassenkampf/

21 https://www.konicz.info/2019/08/30/der-alte-todesdrang-der-neuen-rechten/

22 https://francosenia.blogspot.com/2022/10/le-cose-non-continueranno-essere-cosi.html

23 https://francosenia.blogspot.com/2022/10/autunni-caldi.html

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