Gli imperialisti alternativi

09.10.2022, di Tomasz Konicz ***

La catastrofe capitalista sta diventando sempre più evidente. La sinistra deve lottare per una via d’uscita emancipatrice –

A prescindere da ogni ideologia, megalomania e opportunismo, molti dei contributi della sinistra al dibattito sull’Ucraina sembrano soffrire di un fondamentale fraintendimento logico. Spesso vengono scritti nella convinzione che esista una via d’uscita da questa catastrofe. Così, a seconda di quello che è il punto di vista politico o ideologico si immagina una parte del conflitto o una costellazione geopolitica che, vista oggettivamente, potrebbe riuscire a disinnescare il conflitto, e forse persino addirittura arrivare a promuovere il cambiamento. Inseguendo varianti sempre nuove, perciò si esige l’appoggio all’Ucraina e alla NATO, in modo da aiutare in tal modo la democrazia borghese a vincere la propria lotta contro il dispotismo eurasiatico; oppure, si invoca la sconfitta dell’imperialismo occidentale, il quale dovrebbe poi essere sostituito da un ordine mondiale multipolare. La sinistra – in base a quella che ormai appare come una megalomania diffusa nello scenario – dovrebbe impugnare lo Scettro della Storia e unirsi alle forze di ciò che è oggettivamente buono e giusto, visto che, in caso contrario, finirebbe per perdere in quella che è la titanica lotta storica che caratterizzerà i prossimi decenni. Sullo sfondo si vede come se continuasse ad aleggiare lo spirito del mondo hegeliano, il quale, insieme alla sua «astuzia della ragione», ha solo bisogno di essere interpretato correttamente. Ma se invece da questa catastrofe non esistesse alcuna via d’uscita progressista, e nemmeno „neutrale“, in grado di ripristinare lo status quo prebellico? E se l’ipotesi di base che è stata delineata fosse sbagliata?

Facendo ricorso alla costruzione teorica della critica del valore, questo mio contributo al dibattito descrive pertanto la guerra per l’Ucraina come un punto di svolta e come un cambiamento qualitativo nel processo di crisi irreversibile del sistema mondiale capitalista, per poi prendere posizione nel dibattito all’interno della sinistra. Il conflitto, probabilmente condizionerà i prossimi decenni. La guerra in Ucraina promuoverà brutalità e barbarie; e tutto ciò avverrà indipendentemente dal fatto che la Russia o l’Occidente escano vincitori da questo massacro imperialista. Bisogna contare sulla fortuna – e in questo caso la generalizzazione è davvero necessaria – che la guerra finisca senza che avvenga uno scambio di petardi nucleari, e senza che venga messa in atto un’interruzione della civiltà. Per quanto il reificato discorso pubblico sulle diverse crisi ami separare l’uno dall’altro ogni singolo momento del processo di crisi, la realtà delle dinamiche inerenti alla crisi non aderisce a questa abitudine. Di modo che ulteriori distorsioni economiche, geopolitiche o ecologiche potrebbero arrivare a interagire con la guerra in Ucraina, e portarla così a compiere un’escalation globale. Senza lo sviluppo di un adeguato concetto di crisi, la guerra non può essere compresa. Ed è questo il motivo per cui la ricerca patetica di quelli che sarebbero gli «interessi razionali» degli imperialisti – rispetto ai quali gli „antimperialisti“ tedeschi, in tutte le loro sfumature che vanno dal rosso al bruno, si sono così splendidamente macchiati di vergogna – era destinata a fallire fin dall’inizio. Ecco perché la critica del valore invece ha potuto prevedere l’invasione russa. Ad aver spinto le élite funzionali delle parti imperialiste in guerra nel conflitto, è stato il momento irrazionale della dinamica feticista della crisi. Questo è stato evidente nel caso della Russia, allorché ha dovuto affrontare l’erosione della sua sfera di influenza imperiale nello spazio post-sovietico. La disgregazione sociale in corso nella regione economicamente dipendente, dove le ex cricche della nomenklatura hanno instaurato oligarchie autoritarie e cleptocrazie, sta creando esplosioni sociali ogni qual volta le materie prime e i combustibili fossili non possono essere esportati in quantità sufficienti a mantenere tranquille alcune parti della popolazione. Questa instabilità fornisce all’Occidente ampie aree di attacco. La guerra di aggressione russa non è stata solo preceduta dalla guerra per il Nagorno-Karabakh, ma anche soprattutto dalle rivolte in Bielorussia e Kazakistan, rispetto alle quali l’Occidente non è dovuto intervenire più di tanto, dal momento che sono state alimentate da fattori sociali interni. È stato questo panico riguardo le nuove „rivoluzioni“ nel proprio cortile imperiale, a spingere alla guerra un Cremlino incapace di modernizzarsi. Le tensioni sociali nello spazio post-sovietico, fino allo scoppio della guerra in Ucraina, dove l’egemonia della Russia stava rapidamente diminuendo, hanno dato vita a una dinamica di proteste, insurrezioni e interventi esterni che hanno minacciato l’equilibrio di potere. Per far sì che Mosca potesse rimanere la capitale di un impero, allora l’Occidente doveva essere respinto in Ucraina con la forza delle armi. L’invasione russa dell’Ucraina è pertanto un segno di debolezza, dato che gli altri mezzi non sono riusciti a mantenere il controllo di questa componente centrale della sfera d’influenza russa. Quello che stiamo vedendo, è un imperialismo di pura crisi che agisce sulla difensiva, cercando di superare le tensioni interne attraverso l’espansione esterna, e agendo in modo particolarmente brutale proprio a causa della sua inferiorità militare ed economica. Ma lo stesso vale anche per l’Occidente. Non è stato solo il Cremlino ad essersi sentito costretto a compiere un grande azzardo, invadendo l’Ucraina. La riluttanza dell’Occidente – sia degli Stati Uniti che dell’Unione Europea – a scendere a compromessi nel periodo precedente l’invasione, è espressione di un’analoga dinamica di crisi interna e di espansione esterna; in questo caso, nello spazio post-sovietico. La NATO si è rifiutata categoricamente di dare garanzie di neutralità all’Ucraina – la quale evidentemente allora faceva parte della sfera d’influenza della Russia – nel mentre che lavorava a pieno ritmo per modernizzare le forze armate ucraine, le quali si erano dotate di reggimenti nazisti, fornendo così al Cremlino quanto meno un casus belli. La Russia avrebbe comunque attaccato l’Ucraina anche in presenza di garanzie vincolanti di neutralità? Non lo sapremo mai. Resta da vedere se l’Occidente abbia sbagliato o meno i calcoli, oppure invece abbia deliberatamente provocato l’invasione in modo da far così sanguinare la Russia nel pantano della guerra ucraina. Durante l’intervento occidentale del 2014 – quando il governo di Yanukovych venne rovesciato – l’UE era già guidata dall’interesse di sabotare la concorrenza geopolitica in un’Europa dominata dalla Germania. Berlino e Bruxelles non tolleravano alcuna alternativa alla sovra-indebitata zona euro. La strategia di espansione della NATO nel „cortile di casa“ della Russia, tuttavia, è stata motivata soprattutto da quelli che sono stati gli sforzi di Washington per arrestare il declino imperiale degli Stati Uniti, e per preservare la loro egemonia e il dollaro come valuta di riserva mondiale. Senza il dollaro come misura del valore di tutte le merci, gli Stati Uniti degenererebbero in una sorta di gigantesca Grecia con le armi. L’aumento dell’inflazione evidenzia come la stampa di denaro da parte della Fed stia raggiungendo i suoi limiti. Mentre l’UE e la RFT volevano impedire la formazione della „Unione eurasiatica“ propagandata da Putin, Washington era da parte sua preoccupata di creare un cuneo tra Berlino e Mosca, in modo da rafforzare così un sistema di alleanze atlantiche in via di erosione. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha ancorato più saldamente l’UE all’Alleanza Atlantica, e ha reso impossibile un riavvicinamento tedesco-russo nel medio termine e ha portato all’espansione della NATO in Scandinavia.

Non è solo il limite interno del sistema globale capitalista, soffocato dalla sua iper-produttività, a far sì che la guerra e l’espansione esterna appaiano – ai Mostri Statali sovra-indebitati e socialmente disgregati – come se fossero l’unica via d’uscita da una crisi che si sta trasformando in una pura svalutazione monetaria o deflazione. Il limite esterno del capitale, che nella sua compulsione alla valorizzazione sta privando l’umanità delle basi ecologiche della vita, si manifesta concretamente nella crisi alimentare che, con la guerra in Ucraina, si sta aggravando, soprattutto in Africa. Nella palese crisi climatica, il controllo sul cibo sta diventando una leva geopolitica di potere, proprio come i combustibili fossili. La guerra non è stata causata solo dalle contraddizioni aggravate dalla crisi, ma essa intensifica anche, come acceleratore della crisi, i processi di disintegrazione già esistenti che stanno portando l’intero sistema mondiale in una nuova fase della crisi: la De-globalizzazione, la quale include l’isolamento e la formazione di campi, le lotte per le risorse, le crisi di scarsità e le limitazioni agli approvvigionamenti, la militarizzazione e il pericolo di una guerra su larga scala, e l’interazione tra la formazione di Stati autoritari e i processi di erosione sociale e statale. Questo punto di svolta del processo di crisi è irreversibile, non si può tornare alla situazione prebellica. Pertanto, l’attuale epoca dell’imperialismo in crisi si trova a essere caratterizzata dall’interazione tra la lotta per il dominio dello Stato e il processo di crisi del capitale, che ha una sua dinamica feticista mediata dal mercato e alimentata dalle contraddizioni interne ed esterne del capitale. Il capitale ha perciò prodotto una formazione sociale che non ha sotto controllo questa dinamica di funzionamento cieco e che, in ultima analisi, viene spinta da essa verso il collasso sociale ed ecologico. Il processo di crisi oggettiva del capitale si svolge attraverso i corrispondenti scontri di crisi imperialista dei soggetti statali; e questa esecuzione della dinamica di crisi attraverso lotte di potere economico, geopolitico, di intelligence o militare costituisce il nucleo oggettivo della prassi di crisi imperialista. Il Cremlino sta portando avanti la sua guerra in Ucraina al fine di mantenere lo status di potenza imperiale della Russia. Gli Stati Uniti hanno provocato la guerra per poter continuare a essere una potenza egemone. La crisi sta quindi mettendo a confronto tra di loro gli ultimi Mostri Statali del Tardo Capitalismo; sia nella loro dimensione economica che in quella ecologica. Dal momento che la crisi socio-ecologica sistemica non può più essere risolta nel quadro del sistema capitalistico mondiale, l’imperialismo in crisi trova allora il suo punto di fuga in una guerra su larga scala, la quale potrebbe avere conseguenze incalcolabili a causa del potenziale di distruzione che è stato accumulato nel tardo capitalismo. Senza una trasformazione sistemica emancipatrice, la civiltà rischia di crollare a causa della catastrofe climatica e della guerra nucleare.

In mancanza di un’adeguata concezione radicale della crisi, gran parte di quella che in Germania veniva considerata come la Sinistra, a partire dall’inizio della guerra in Ucraina, nel suo schierarsi è semplicemente evaporata. La guerra ha solo accelerato la disintegrazione di quelle parti della sinistra tedesca cieche alla crisi e opportuniste, le quali ora si schierano lungo il fronte. Da un lato, abbiamo gli apologeti di Putin intorno a Sahra Wagenknecht [die Linke], oppure i media trasversali come „Telepolis“ o „Nachdenkseiten“, i quali nonostante il loro anti-imperialismo a parole fanno palesemente l’apologia di Putin. Dall’altro lato, vediamo i sostenitori della NATO e dei vuoti valori occidentali, che per un’ultima volta vendono la vecchia ideologia borghese-liberale, prima che anche gli Stati occidentali sprofondino nella barbarie. E tutto questo allo stesso tempo in cui, nell’ambiente liberale di sinistra dei Verdi, si sentono parole di elogio per Bandera, e gli antimperialisti tedeschi in tutte le loro tonalità – dal rosso al marrone – si comportano come se fossero degli imperialisti alternativi che si limitano a propagandare gli interessi imperiali della Russia o della Cina. Infine, tutto questo culmina poi in appelli megalomani – formulati da una distanza di sicurezza – rivolti agli ucraini affinché si ergano coraggiosamente a carne da cannone per la libertà e per la democrazia; oppure che si arrendano all’imperialismo russo nella misura in cui i prezzi del gas in Germania salgono alle stelle. Questa nuova qualità della crisi che si afferma insieme con la guerra segna quindi, al di là della globalizzazione neoliberista, anche quale sia il limite della prassi di sinistra all’interno del capitalismo. Una „politica“ progressista ed emancipatrice può essere formulata solo se non si prescinde da un concetto radicale di crisi che non lasci alcuna alternativa rispetto alla lotta per il perseguimento della trasformazione totale del sistema. L’accecante processo di crisi in corso, che nella sua dinamica di scontro distruttivo a livello geopolitico sta portando a una guerra su larga scala, deve rappresentare la questione centrale di qualsiasi sforzo pratico della sinistra, che non sia l’opportunistico ripetere a pappagallo la propaganda imperialista, se non addirittura immaginarsi, nell’attuale crisi imperialista, una qualche costellazione di Stati «oggettivamente progressisti». In ultima analisi, anche la sinistra tedesca dovrebbe decidersi ad affrontare il dato evidente – per decenni ostinatamente ignorato – della crisi sistemica del capitale (cosa che peraltro non entra quasi mai nell’attuale dibattito sull’Ucraina), in modo da avere almeno l’opportunità teorica di lottare per poter uscire dalla propria impotenza e insignificanza. Per questo, sarebbe necessario dire alla gente come stanno le cose, anziché tormentarla con un’ideologia anacronistica. Quanto sia ormai superata e obsoleta l’icona antimperialista Lenin, ad esempio, lo dimostra il suo fan club sempre più in declino, e che nel contesto del dibattito sull’Ucraina svoltosi sulla rivista Konkret è stato in grado di sputare solo sciocchezze reazionarie sotto forma di elogi superficialmente celati per Wagenknecht e per i socialisti di stampo nazionale del partito „Die Linke“. Tra poco, la zia del fronte trasversale del Partito della Sinistra, che fa diligentemente propaganda per la Nuova Destra, diverrà colei che non deve essere un’opportunista. Un’idea questa, che potrebbe venire in mente solo a chi non comprende il concetto di ribellione opportunista. In Germania, gli imperialisti alternativi – i quali vengono ancora minimizzati definendoli antimperialisti – riescono a diffondere la loro spazzatura anacronistica e reificata che per molto tempo ha funzionato nella forma di apologia della gestione autoritaria della crisi capitalistica, in paesi come la Russia o la Cina, e in organi più o meno aperti a tendenze trasversali quali „Telepolis“, „Nachdenkseiten“, „Freitag“, „Berliner Zeitung“ e „Rubikon“. Non è un caso che questi media siano finanziati per lo più da uomini bianchi, vecchi e facoltosi, particolarmente ricettivi dell’ideologia reazionaria degli strati superiori tedeschi, della piccola borghesia e della famigerata classe media, e a cui si aggiunge la „Junge Welt“ come suo organo.

Questa ideologia anacronistica e di destra non coglie la realtà della crisi. Molti ritengono da tempo che il sistema sia in crisi irreversibile, e che la trasformazione sia già iniziata. La prassi della sinistra può ora essere attuata solo sotto forma di momento parziale di lotta per superare la catastrofe capitalista che diventa sempre più evidente. Il pericolo di una guerra totale può essere combattuto solo nell’ambito di una lotta per la trasformazione, che dovrà essere propagandata in maniera offensiva. Il processo di trasformazione è inevitabile, ma alla luce della guerra in Ucraina, la prassi emancipatoria deve mirare a garantire che la trasformazione non si concluda nella barbarie o nella guerra mondiale. Invece di discutere di fronti imperialisti, o di ripetere a pappagallo sciocchezze propagandistiche, la sinistra dovrebbe anticipare il corso della crisi, evidenziare le contraddizioni cruciali e facilitare la trasformazione del sistema che sta crollando in qualcosa di post-capitalista, che riesca a salvare il maggior numero possibile di elementi del processo storico di civilizzazione. La lotta contro il pericolo di una guerra totale, contro la dittatura della crisi, contro lo sciovinismo e il caos va condotta con l’obiettivo di creare condizioni favorevoli a un corso emancipatorio di trasformazione. Potrebbe quindi interagire anche con altre lotte, come quella contro il cambiamento climatico. La lotta per la trasformazione costituirebbe un denominatore comune per unire movimenti di protesta apparentemente disparati. A prima vista, propagandare la trasformazione del sistema come una necessità per la sopravvivenza sembra garantire di essere emarginati da qualsiasi movimento. Ma è proprio la dinamica della crisi che, ad ogni suo nuovo scoppio, dimostra con forza alle persone quanto sia necessario superare il capitalismo. Certo, la sinistra è attualmente priva di significato, ma è proprio la propagazione coerente di una coscienza della crisi, radicale e anticapitalista nella pratica concreta, ciò che potrebbe cambiare la situazione molto rapidamente in interazione con i prossimi focolai di crisi. Tutto questo dovrebbe essere fatto a partire da un demarcazione dagli „antimperialisti“, che nel frattempo languono nell’avanguardia della barbarie a causa del loro fianco aperto all’estrema destra e dintorni. I margini di manovra, capitalisticamente deformati della democrazia borghese occidentale, tanto odiati in questi ambienti, quanto lo sono le minacciose importazioni statunitensi, vanno difesi, proprio nel quadro della lotta per la trasformazione, in modo da rendere possibile il loro percorso progressivo.

Tomasz Konicz – Pubblicato su Konkret nel settembre 2022 e ri-postato su konicz.info il 2/10/2022 –

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