Crisi del Coronavirus

di Tomasz Konicz

Il sistema capitalista mondiale sta entrando nella crisi più grave della sua storia, le cui conseguenze – se non verranno superate rapidamente – potrebbero mettere in ombra perfino quelle degli anni Trenta.
È arrivato di nuovo il momento di un «Noi» molto grande. Nel momento in cui il tardo capitalismo, già consumato dalle sue contraddizioni interne, viene investito dall’esplosione di un’altra crisi, arriva allora il momento dei grandi appelli al senso di comunanza, alla coesione e alla disponibilità a sacrificarsi. Tutti quelli che sono i prigionieri di una società profondamente divisa – dal miliardario al lavoratore salariato e ai senzatetto – vengono improvvisamente ed ugualmente chiamati a fare sacrifici. Ma si tratta di un grande e falso „tutti insieme“, dal momento che per sostenere un sistema distruttivo ed irrazionale devono essere bruciati innumerevoli miliardi. Questa volta però, il sacrificio a Mammona sembra richiedere letteralmente il sangue. Ecco che così il capitalismo viene smascherato come quella religione secolarizzata che aveva descritto Benjamin nel 1921.

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Sangue per il dio sanguinario
Cosa ne pensate di sacrificare la vita? È per una buona causa, è per l’economia! Ed ora è proprio di questo che stanno realmente discutendo. Tutti devono fare sacrifici. Dan Patrick, vice governatore del Texas ha chiesto recentemente ai suoi cittadini di fare tutti dei sacrifici. A prescindere da ogni cosa, l’economia deve continuare a funzionare. E pertanto, nonostante la pandemia, i lavoratori salariati dovrebbero andare a lavorare, e gli anziani – che a causa del coronavirus muoiono assai più frequentemente della media – dovrebbero essere semplicemente sacrificati, per fare in modo che i loro nipoti possano continuare a lavorare; è stata la richiesta del vice governatore. Egli stesso era pronto a scendere in campo per l’economia – ha proclamato Patrick, 70 anni di età. Lo stesso Trump ha argomentato in maniera simile, in quanto ritiene che il suo paese «non è fatto per questo», non è fatto per «rimanere chiuso». Contestualmente, il presidente degli Stati Uniti ha parlato di «riaprire» gli Stati Uniti subito dopo Pasqua.
Ma anche in Germania si fanno appelli affinché l’economia non venga rovinata da una pandemia passeggera. Il quotidiano di economia e finanza, Handelsblatt, per esempio, ha pubblicato recentemente, sotto forma di articolo le merdate dell’investitore Alexander Dibelius (McKinsey, Goldman Sachs), sostenendo che le ruote devono tornare di nuovo a girare: «Meglio beccarsi un’influenza, piuttosto che un’economia in rovina». Ed è proprio in frasi ciniche come questa – le quali non per niente vengono messe sotto i riflettori dell’opinione pubblica solo in tempi di crisi – che appare in tutta la sua evidenza quello che è l’irrazionalismo del modo di produzione capitalistico, che minaccia la civiltà. Il capitale è il fine in sé di un movimento di valorizzazione illimitato, un fine in sé al quale può essere sacrificato tutto.
Simili appelli al puro sacrificio di sangue per il capitale ci mostrano quanto sia drammatica la situazione. L’attuale scoppio di una situazione di crisi è molto più forte di quello della crisi del 2008/2009, e dà l’impressione che il sistema possa realmente collassare, qualora si dovesse trattare di una pandemia prolungata, a causa delle sue crescenti contraddizioni interne; e questo nonostante la politica riesca a fare tutto «bene», a partire da una prospettiva capitalistica interna alla mera amministrazione della crisi. Il Coronavirus è solamente l’innesco che minaccia di essere in grado di far detonare un sistema del tutto instabile.

Economia in caduta libera
In questo momento, l’unica questione attiene a sapere se le prossime recessioni saranno peggiori dell’enorme crisi del 2009, allorché l’economia globale aveva collassato dopo lo scoppio delle bolle immobiliari avvenuto negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, ed aveva potuto essere tenuta in piedi solo grazie ai giganteschi programmi di stimolo economico, ed attraverso una massiccia emissione di denaro. Questa volta, lo shock primario proviene dal rapido collasso della domanda, dalle interruzioni della produzione e dalle disfunzioni nelle esistenti catene di distribuzione globale; e tutto questo ha il potenziale per innescare, nei paesi del centro del sistema globale tardo capitalista, una contrazione del Prodotto Interno Lordo (PIL) storicamente senza precedenti. Recentemente, Mory Obstfeld, ex capo del Fondo Monetario Internazionale, ha fatto un raffronto tra la contrazione economica oggi in atto e quelle che furono le conseguenze della Grande Depressione degli anni Trenta. La gravità del rallentamento economico ha reso, alla stessa velocità record, le corrispondenti previsioni una perdita di tempo. Il secondo trimestre del 2020 potrebbe vedere, negli Stati Uniti, il peggior crollo dal 1947; secondo JPMorgan Chase & Co. esiste la minaccia di una contrazione del 14% rispetto alla produzione che c’è stata nello stesso periodo dell’anno passato, e mentre la Bank of America prevede ora una caduta del 12%, per i prossimi tre mesi Goldman Sachs si aspetta addirittura una crollo catastrofico del 24%. L’allarme più esplicito è quello lanciato dal presidente della Federal Reserve Bank di St.Louis, James Bullard, il quale teme, alla fine del secondo trimestre, una caduta del PIL pari fino al 50%, rispetto al primo trimestre del 2020. Questo farebbe salire il tasso di disoccupazione fino al 30%, e corrisponderebbe ad una caduta del 25% della produzione economica. A titolo di paragone: durante la Grande Depressione del 1929-33, che fece sprofondare nell’estrema povertà ampi settori della popolazione, il PIL degli Stati Uniti nel suo insieme crollò del 25%.
Adesso, il fattore decisivo è il tempo: quanto più tempo ci vorrà per combattere la pandemia, tanto più lungo sarà il processo di paralisi della valorizzazione del capitale nell’industria produttrice di merci, e tanto maggiore sarà la probabilità di una depressione persistente, la quale renderà economicamente «superflua» una gran parte dei lavoratori salariati, facendoli sprofondare in quella miseria che minaccerebbe la loro esistenza. A meno che il virus «prenda un percorso miracoloso che lo porti a scomparire nei prossimi mesi», come ha detto ai media il professore di Harvard James Stock, sarà «come la Grande Depressione». In California, le avvisaglie di questa imminente catastrofe sociale si sono già viste: dal 13 marzo, vale a dire, nel giro di una settimana, circa un milione di salariati si sono iscritti alle liste dei disoccupati.
Gli assurdi appelli a tornare al lavoro nonostante la pandemia, e di sacrificarsi in nome del Dio denaro, di cui abbiamo parlato all’inizio, sono dettati proprio da questa visione di costrizione feticistica alla valorizzazione illimitata del capitale. Diversamente, ad essere minacciata di collasso è una società capitalista che può riprodursi socialmente solo se i processi di accumulazione hanno successo. La produzione di quella che è un’umanità economicamente superflua – risultante dalla crisi sistemica del capitale che si sta sviluppando per fasi, e che finora è stata in gran parte scaricata, nel contesto della concorrenza di crisi, ai lavoratori salariati della periferia – di conseguenza, se la lotta contro la pandemia dovesse durare molto tempo, ora arriverebbe, con tutta la sua forza, anche nei centri. «Noi», semplicemente, nel quadro della coercizione capitalistica, non possiamo offrire protezione.
Anche nell’Unione Europea, è cominciato il perfezionamento delle prospettive economiche. Inizialmente, la commissione della UE aveva ipotizzato che il PIL dell’Unione Europea sarebbe diminuito dell’1%. Ma ora anche a Bruxelles si stanno disegnando dei paralleli con il 2009. Si prevede che nel 2020 l’economia della UE si ridurrà in misura simile a quella verificatasi dopo lo scoppio delle bolle immobiliari nel corso di quello che è stato l’ultimo scoppio di crisi che ha poi portato all’interminabile crisi dell’Euro: allora, a quei tempi, la contrazione della produzione economica fu, nella zona Euro, del 4,5% e del 4,3% nella UE. La vacillante alleanza europea degli Stati, già in stato di erosione, non può che dare un nuovo impulso alle forze centrifughe nazionaliste, in modo particolare in ambito monetario. Una vera e propria mentalità brigantesca ha già fatto delle incursioni nell’«Unione Europea», nel momento in cui le mascherine protettive destinate all’Italia improvvisamente «spariscono» in Germania, oppure vengono semplicemente confiscate dalla Polonia e dalla Repubblica Ceca, in quella che è una rapina di Stato. Lo scenario peggiore per la Repubblica Federale Tedesca ipotizza una caduta del 20% nella produzione economica, la quale causerà un aumento della disoccupazione di un milione di salariati. La previsione del famigerato istituto IFO , con sede a Monaco, per il 2020, nella migliore delle ipotesi è quella di una forte caduta del PIL quantificabile al 7.2% : «Probabilmente i costi supereranno qualsiasi cosa si sappia sulle crisi economiche o sui disastri naturali nella Germania degli ultimi decenni», ha avvertito il capo dell’IFO, Fuest. A seconda dello scenario, la crisi verrebbe a costare tra i 255 e i 729 miliardi di euro. In maniera analoga, il capo della Bundesbank, Weidmann, ha dichiarato che una deriva «verso una forte recessione» sarà inevitabile. Le conseguenze di questi collassi economici sono già state avvertite più volte dai dipendenti: la Volkswagen ha messo circa 80mila lavoratori ad orario ridotto, a causa del crollo della domanda e dei problemi verificatisi nella catena di distribuzione. Le prime previsioni globali, come quelle del Fondo Monetario Internazionale, hanno anch’esse una visione negativa dello sviluppo economico, e fanno un parallelo con il crollo del 2008. Tuttavia, l’economia globale dipende in larga misura dalla Cina, dove i primi rapporti indicano che la produzione sta già nuovamente aumentando. Questo potrebbe servire a mitigare il crollo globale, ma il capitalismo regolato cinese, con il marchio dell’oligarchia statale, non è in grado di svolgere il ruolo di locomotiva economica globale, dal momento che anche la Cina sta soffrendo quello che è il peso della sua enorme montagna di debito. Inoltre, la dipendenza della «Repubblica Popolare» dai mercati di esportazione è ancora molto forte, nonostante tutti i successi parziali bel rafforzamento della domanda interna.

Nella terra decrepita di milioni di fantasie
In vista di questo imminente crollo della produzione economica nei paesi centrali del sistema capitalistico globale, non sorprende affatto che in questo momento i politici stiano apertamente negoziando montagne di miliardi. Questi dovrebbero essere pompati nel sistema ad un ritmo folle, come se non ci fosse un domani. Le élite funzionali politiche si stanno realmente preoccupando di cercare di evitare il collasso. E rimane assolutamente aperta la possibilità che questi sforzi servano solo a prolungare l’agonia del capitale, creando nuove bolle, come era stato fatto quando poi le bolle immobiliari sono scoppiate nel 2008/09. Le dimensioni delle misure di appoggio sono storicamente uniche, soprattutto negli Stati Uniti. Mercoledì, durante il Congresso, Democratici e Repubblicani hanno concordato un pacchetto di incentivi di 2 mila miliardi di dollari. Il denaro lanciato dall’elicottero, vale a dire, pagare i cittadini per stimolare la domanda, negli Stati Uniti è diventato una realtà. Ogni cittadino americano con un reddito annuo inferiore a 75 mila dollari, riceve una donazione in denaro di 1.200 dollari, ogni figlio comporta un’addizionale di 500 dollari ciascuno. Per l’«industria della sanità», disfunzionale e privata, ci saranno 100 miliardi, mentre i piccoli imprenditori potranno contare su 350 miliardi , e sulla grande industria, per mantenerla in vita, verranno lanciati 500 miliardi; altri 150 miliardi andranno alle città e ai comuni, ecc..
Nell’Unione Europea e nella Repubblica Federale Tedesca, tutte le misure di austerità imposte da Schäuble & Co. all’area monetaria verranno revocate, mentre la BCE ha annunciato un gigantesco programma di acquisti di titoli per 750 miliardi di euro, al fine di realizzare, indirettamente, attraverso il mercato dei capitali, quello che in realtà è un finanziamento statale, il quale era stato vietato ai vecchi – e ai futuri – paesi in crisi nella zona euro. Nel contempo, l’UE ha reso flessibili le regole fiscali degli Stati della zona euro, al fine di promuovere gli investimenti statali finanziati attraverso il credito, che vengono resi possibili grazie all’inondazione di denaro proveniente dalla BCE. Nella Ue, i freni al debito di Schaubler vengono sospesi, così come nella RFT. Nel contempo, il ministro dell’Economia, Peter Altmaier, ha detto di essere disposto a considerare «misure non convenzionali», quali dei voucher per il consumo, dopo aver recentemente annunciato la nazionalizzazione delle imprese per proteggerle dalle acquisizioni estere. A causa di anni di eccedenze di esportazioni nel quadro della politica «Begger-thy-Neighbor» [«impoverisci il tuo vicino»], la Repubblica federale si trova di fatto nelle condizioni di attuare massicci programmi di stimolo economico che – in relazione alla produzione economica – possono certamente tenere il passo della megalomania americana. Berlino sta per mobilitare un totale di circa 750 miliardi di euro per ammortizzare l’impatto economico, accompagnati da nuovi prestiti per circa 156 miliardi. Questo debito aggiuntivo deve essere usato per finanziare tutte le misure sociali, le ulteriori iniezioni finanziarie per le infrastrutture in difficoltà, così come per il sistema sanitario distrutto, oltre agli aiuti alle imprese e ai lavoratori autonomi. Circa 600 miliardi sono destinati a proteggere dal fallimento, o da acquisizioni ostili, le grandi imprese e le industrie esportatrici tedesche, per mezzo della nazionalizzazione o dei prestiti governativi. Tutti questi miliardi diventano insignificanti rispetto ai miliardi che le banche centrali devono pompare sui mercati finanziari in contrazione, per evitare il collasso del sistema finanziario globale. Qui, la principale preoccupazione è quella di evitare lo scoppio della bolla di liquidità che è stata innescata a partire dalle misure adottate per combattere le conseguenze dovute allo scoppio delle bolle immobili nel 2008/09. Sono proprio queste bolle dei mercati finanziari (bolla dei Dot-com, bolla immobiliare, bolla di liquidità attuale), le quali hanno cominciato a gonfiarsi a partire dalla seconda metà degli anni ’90 e che continuano ad espandersi, e che generano una montagna di debito sempre crescente, che rappresenta ora il 322% del prodotto economico globale, nel cui contesto globale iper-produttivo dipendente dalla domanda spinta dal credito, minaccia ora di collassare.
Le misure di crisi sostenute dai miliardi delle banche centrali servono a salvare dal collasso questa gigantesca torre del debito. Compresi i 750 miliardi di nuovi acquisti di obbligazioni da parte della BCE, così come le misure per un totale di 1,5 miliardi di dollari che la Federal Reserve statunitense ha speso nello sforzo di invertire il crollo dei mercati azionari degli Stati Uniti. In ultima analisi, si tratta di emissione monetaria, nota come «quantitative easing», che viene realizzata nella sfera finanziaria per mezzo dell’acquisto di obbligazioni e «titoli» da parte delle banche centrali, al fine di mantenere «liquido» il sistema (quello che ne risulta è l’effetto inflazionistico che porta al rialzo dei titoli). Tuttavia, nella Fed non ci sono più limiti ufficiali: sono necessarie «azioni aggressive», il quantitative easing – vale a dire, l’emissione di denaro – verrà realizzata senza alcun limite, ha dichiarato la Fed il 23 marzo.
Il limite è il cielo; almeno fino alla grande ondata di svalorizzazione che potrebbe cominciare in concomitanza con il collasso economico. Il problema è proprio quello che, se la recessione continua ancora a durare, un’enorme parte di questa montagna di debiti non potrà più essere onorata; soprattutto nel caso dei prestiti alle imprese. Il fragile castello di carte che il tardo capitalismo ha costruito sui mercati finanziari comincerebbe a crollare, con conseguenze disastrose. I primi calcoli relativi a questo modello hanno tenuto conto del debito delle imprese di otto paese: Cina, Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Italia e Germania. In caso si verifichi uno shock economico che fosse solo la metà di quello della crisi finanziaria globale del 2008, il passivo corrispondente al valore di 19 trilioni (milioni di milioni) di dollari americani non verrebbe più coperto. Ciò rappresenterebbe il 40% del debito totale delle imprese dei paesi in questione. Tuttavia, in molte zone la crisi minaccia di assomigliare piuttosto proprio a quella del collasso del 2009. Pertanto, le contrazioni economiche, che ora si pretende di minimizzare attraverso i miliardi, minacciano di interagire con la spazzatura finanziaria del sistema finanziario globale gonfiato, provocandone la sua svalorizzazione nel contesto di un collasso irreversibile. È questo il pericolo reale insito nell’attuale dinamica di crisi: il crollo della montagna di debiti globale innescherebbe un vero e proprio collasso. La casta politica ha riconosciuto correttamente tutto questo, ed ecco perché ora si stanno aprendo i cancelli della Fed e della BCE.
L’arcaica richiesta di sacrifici per calmare nuovamente i mercati, come si è detto all’inizio, è di fatto il vero e proprio nucleo di quella che è la coercizione oggettiva del capitalismo. Trump ha ragione. Se il necessario controllo della pandemia viene mantenuto per un lungo periodo di tempo, i centri del sistema capitalistico globale verranno letteralmente minacciati dal collasso. A tal proposito, l’annuncio di Trump secondo cui gli Stati Uniti sarebbero tornati alla normalità operativa già a Pasqua, insieme al «pacchetto di stimoli economici» che era stato concordato, ha causato il più grande balzo nelle quotazioni del mercato finanziario statunitense che ci sia mai stato dal 1933. Il dio Baal del denaro accetta con benevolenza quelli che si annunciano come i sacrifici umani annunciati. Anche se possono morire miseramente centinaia di migliaia di persone, il capitale deve tornare ad essere valorizzato per mezzo del lavoro salariato. La natura irrazionale del capitalismo, in quanto «folle setta suicida» (Robert Kurz) e come sfrenato culto della morte in quella che è la sua cieca coazione alla crescita, diventa evidente in questi momenti di crisi. Ma la necessità di superare, in maniera emancipatrice, questo sistema che sprofonda nella solitudine e nella barbarie, in cui i suoi apologeti diventano i sommi sacerdoti di questo culto di morte. In definitiva, trovare nuove forme di riproduzione sociale, al di là della totalitaria valorizzazione del valore, è solo una pura necessità di sopravvivenza. È questa l’unica esigenza politica ragionevole che deve ora essere formulata come risposta al disastro in atto.

– Tomasz Konicz – Pubblicato Su Lower Class Magazine il 26/3/2020 –

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