Il coefficiente di stupidità della Sinistra

La stupidità è la miglior alleata dell’opportunismo di sinistra, la crisi attuale lo dimostra ancora una volta –
di Tomasz Konicz

Capitalismo o morte? In un’intervista pubblicata nel dicembre del 2019, il famoso marxista americano David Harvey ha reso assai chiaro, con una franchezza deprimente, in che cosa possa rapidamente degenerare la teoria di Marx, quando, dopo decenni, si continua ad ignorare in maniera sovrana la crisi sistemica, e di conseguenza non si dà forma ad un adeguato concetto di crisi [*1]. Rivoluzione? Una «fantasia comunista», oramai non viviamo più nel 19° secolo. Il capitale è «too big to fail», è diventato troppo necessario, e pertanto non possiamo permetterci il suo crollo. D’altra parte, le cose devono essere «mantenute in movimento», dal momento che in caso contrario «moriremmo quasi tutti di fame». E c’è bisogno anche che investiamo il nostro tempo per «rianimarlo», questo capitale, dice Harvey. Forse si potrebbe lavorare lentamente ad una riconfigurazione graduale del capitale, ma un «rovesciamento rivoluzionario» è qualcosa che «non può e non deve accadere»; e bisogna anche si lavori attivamente per fare in modo che non avvenga. Allo stesso tempo, alla fine il professore marxista ha osservato anche che il capitale è diventato «troppo grande, troppo mostruoso» per poter sopravvivere. Insomma, si tratterebbe di un «percorso suicida».

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Ancora una volta, abbiamo di nuovo al capezzale del capitalismo suicida, il nostro famoso medico di sinistra che si sente obbligato a cercare di trovare delle spiegazioni per una crisi, senza però avere alcuna teoria della crisi che sia degna di questo nome, e che riesce perciò solo a farfugliare qualcosa a proposito di «disuguaglianza sociale», di «mutazioni climatiche», e a bofonchiare qualche parola di critica della crescita, vedendo tutte queste cose solamente come fattori reificati della crisi, la quale sta assumendo dimensioni veramente mostruose, senza però nemmeno arrivare a sospettare le cause che risiedono nelle contraddizioni interne alla relazione di capitale, che sta sbattendo contro quelli che sono i propri limiti interni, oltre che contro i limiti esterni dello sviluppo.
Questo quadro penoso rende evidente, come si trovasse sotto una lente ustoria, quale sia la miseria teorica e pratica di una sinistra ostinata e realmente conservatrice, che non solo ignora la teoria della crisi, ma che altresì lavora diligentemente a denunciarla e ad emarginarla in quanto «ideologia del collasso». E infatti, Harvey ripropone il solito schema del percorso di una degenerazione ideologica che porta, ancora una volta, all’opportunismo ed al riformismo. L’attuale crisi economica, scatenatasi a partire dalle misura di lotta alla pandemia, sta assumendo dimensioni mai viste dopo gli anni ’30. Negli Stati Uniti ci sono già milioni di persone che stanno morendo di fame, sebbene in quel paese non si sia verificata nessuna delle «rivoluzioni» temute da Harvey. La crisi climatica, come è stato chiarito quest’anno dall’ondata di caldo in Siberia, ha oltrepassato il punto di non ritorno. E tuttavia, ciò nonostante, la sinistra appare dominata da un arcaico neo-leninismo, il quale non riesce a vedere altro che interessi all’opera dappertutto, e continua incessantemente a chiedere «a chi giova?»; oppure, di conseguenza, parte da un mero pensiero redistributivo socialdemocratico, attraverso il quale si va in cerca di una «giusta» distribuzione del fardello della crisi, senza neppure considerare quali siano le cause dell’attuale catastrofe, la quale per loro deve essere solamente «amministrata» per mezzo dell’amministrazione socialdemocratica della crisi. Fino ad arrivare alle grandi chiacchiere socialdemocratiche sulla «giustizia climatica».
Sembra proprio che a sinistra la teoria della crisi sia stata particolarmente emarginata, e questo è avvenuto proprio immediatamente prima della scoppio di una crisi. In questo caso le apparenze non ingannano. La crisi sistemica non è un evento che avviene una tantum, bensì si tratta di un processo storico di quella che la crescente contraddizione interna del capitale che si sviluppa come delle esplosioni, degli scoppi di crisi; capitale che, che a causa delle razionalizzazione della sua propria sostanza, per mezzo della concorrenza, si disfa del lavoro creatore di valore, liberandosene, e lasciandosi alle spalle sia un’umanità economicamente superflua che un modo ecologicamente devastato. Gli scoppi di crisi, sempre più intensi, per mezzo dei quali si manifesta appunto la Crisi, sono quindi preceduti da una lunga fase dormiente, cin cui la crisi cova ed accumula il suo potenziale, risultante dall’autocontraddizione del capitale, principalmente sotto forma di montagne crescenti di debito, sempre più in aumento, o di bolle del mercato finanziario, che permettono ancora al sistema una specie di illusoria vita da zombie.
Considerato superficialmente, il capitalismo, in queste ascendenti fasi latenti in cui si formano delle bolle, «continua a funzionare»; e non troviamo fenomeni di crisi manifesta finché le bolle azionarie e di debito immobiliare continuano a crescere allegramente, e si crea una domanda finanziata dal credito e finalizzata alla produzione di merci che rimane poi soffocata dalla sua stessa produttività: ecco perché per la coscienza ordinaria della sinistra tutto questo non è altro che il suo collaudato percorso capitalistico. Così possiamo tornare alla buone e vecchie eredità, e smettere così di pensarci per un po‘. Soprattutto nel momento in cui intere regioni, devastate e abbandonate dal capitale durante queste esplosioni di crisi – che avvengono a partire dalla periferia e raggiungono i centri – vengono cristallizzate come se si trattasse di una «nuova normalità», e non vengono più percepite come il risultato di un processo storico di crisi. Così abbiamo … i greci che sono poveri, gli „arabi“ che vivono in degli Stati falliti, ecc.
Sulla base di tutto questo, la meschinità della sinistra, la mancanza di volontà di abbandonare quell’amato nemico che è i capitale, ora può essere riassunta per mezzo di una formula adeguata a quello che è il suo stupido oggetto, al coefficiente di stupidità della sinistra, che potrebbe funzionare anche come un segnale di allarme in grado di indicare in anticipo lo scoppio di un nuovo focolaio di crisi: il grado di emarginazione della teoria della crisi da parte della sinistra, è proporzionale al grado di sviluppo latente del prossimo scoppio della crisi che arriva. Poco prima dell’arrivo della crisi, nessuno di quelli che si trovano sulla scena vuol sentir parlare di qualsivoglia crisi. Non si tratta solo di stupidità. Non è solo la stupidità che porta a far sì che la stragrande maggioranza della sinistra si troverà ad incespicare in maniera ignorante nella prossima crisi, fino al punto che la nuova destra tedesca, con tutti i suoi piani di sovversione forzata all’interno ed all’esterno dell’apparato statale, ora possiede una «coscienza di crisi» più spiccata. Si tratta anche dei risentiti ego dei protagonisti che sono sulla scena, i quali non possono ammettere di aver continuato a dire sciocchezze per tutti questi anni, negando il carattere feticista ed irrazionale della socializzazione capitalistica, e relegando nel regno dei miti l’essenza del capitale in quanto soggetto automatico, per poter continuare così a perseguire, a mero livello di superficie, i famosi interessi, la cui gretta e miope razionalità ha senso solo all’interno del movimento feticista e irrazionale del capitale.
Il «cui prodest» leninista viene svergognato perfino dalla crisi climatica, la quale minaccia non solo la civiltà umana, ma anche le basi economiche del capitale. Sono esattamente proprio le élite funzionali del capitale che cercano di rifugiarsi letteralmente nei bunker, su isole deserte o, in prospettiva, su Marte (Elon Musk) e sulla Luna (Jeff Bezos), dal momento che loro stessi si trovano ad essere impotenti di fronte alla dinamica distruttiva del capitale, in quella che è la sua capacità globale in quanto soggetto automatico; e perché gli apparati dello Stato ormai non sono più in grado di agire come «capitalisti totali idealisti» ed assicurare così una continuità del sistema attraverso delle appropriate misure legislative, visto che, in ultima analisi, con una coerente legislazione climatica, il movimento di accumulazione collasserebbe. Finora, una significativa riduzione globale delle emissioni di CO2 è stata ottenuta solamente ora, al costo di una crisi economica globale (2009), come è emerso di recente in seguito al «Lockdown». Le recenti manifestazioni della destra contro le misure prese per la pandemia sono state, tra l’altro, una caricatura del neo-leninismo che viene portato fino alla sua logica conclusione, in cui si fa veramente disperata la ricerca di quali sono gli «interessi concreti», insieme a quali sono invece gli elementi nell’ombra, che avrebbero provocato l’attuale crisi.
L’impulso più intimo della sinistra è quello di voler ritornare alle «radici», tornare nuovamente a concentrarsi sulla lotta per la Distribuzione all’interno del capitale; cosa che alla fine costituisce una reazione alla diarrea della nuova destra. Ci si vuole opporre alle semplici menzogne fasciste, per mezzo di altrettanto semplici verità a proposito degli onnipotenti capitalisti; e così, per esempio, si interpreta la crisi di sovraccumulazione derivante dalla crisi sistemica vedendola come se fosse una mera questione distributiva, che potrebbe essere risolta attraverso l’espropriazione (leninista) o per mezzo delle tasse (socialiste). Ma le grandi lotte di classe cui si riferiscono queste correnti, sono solo espressione delle crescenti lotte per la distribuzione, indotte dalla crisi, nel corso delle quali non emerge una nuova classe proletaria, ma viene piuttosto prodotta un’umanità economicamente superflua, la cui produzione, nella periferia del sistema globale, è ormai quasi ultimata – e che ora avviene ad alto regime anche nei centri. La crescente miseria del tardo capitalismo si limita a riflettere semplicemente le condizioni del primo capitalismo.
E tutto ciò perché questo movimento di fiducia nello Stato, in grandissima parte assurdo e anacronistico, ha avuto così tanto successo, nonostante la crisi abbia ormai raggiunto un tale grado di maturità che persino coloro che prima la negavano ormai non possono più evitare di incorporare dei frammenti di teoria della crisi nelle loro ideologia socialdemocratica o leninista, costruendo in tal modo dei veri e propri Mostri di Frankenstein.
Qui si tratta ora davvero di chiedere a chi giova. La stupidità, il narcisismo e la cecità ideologica formano un’ottima base per quello che è l’unico movimento all’interno della sinistra che ha un reale interesse ad emarginare la teoria della crisi: l’opportunismo. Quelle forze che vedono la sinistra come un biglietto d’ingresso per una carriera nella coalizione rosso-rosso-verde, e che in realtà si stanno già facendo pratica per far valere le ragioni di Stato, devono emarginare o addomesticare tutto il «discorso della crisi» che – al contrario del dibattito sulla distribuzione – semplicemente è incompatibile con il business politico, dove si pretende di fare qualsiasi cosa.
Cosa deriva conseguentemente da una teoria della crisi? Il fatto che – ai fini della sopravvivenza – il superamento del capitale, in quanto totalità autodistruttiva, è semplicemente necessario. Il soggetto automatico, come un Amok, lasciato alla propria dinamica feticista, porterà a termine la distruzione del mondo già cominciata. Questa premessa, pertanto, non è negoziabile. Rispetto al tentativo di trasformazione emancipatrice del sistema, non esiste alternativa. Ma come fare a rendere possibile la vendita di tutto questo, facendo uso dei mezzi di comunicazione sociale o politica, nelle trattative per formare una coalizione o sui talk show? Attraverso la marginalizzazione della coscienza radicale della crisi, l’opportunismo può ancora sperare di emulare il signor Harvey, facendo un tentativo in quanto medico, sul letto di morte del capitale; cosa che, alla fine, in ultima analisi, equivale a diventare soggetto dell’amministrazione di crisi che sta arrivando. Nel panico, è la logica del «si salvi chi può», la quale finisce per conferire all’opportunismo quella che è la sua particolare brutalità nell’ultima grande gara per un incarico ed una candidatura. Dal momento che i bunker e le isole private non sono disponibili, si cerca rifugio negli apparati erosi ed inselvaggiti dello Stato – la qual cosa, per alcune parti della sinistra, costituisce anche la base della crescente fiducia nello Stato -preferendo servire nell’Apparato piuttosto che confrontarsi fuori di esso.

Tomasz Konicz – Pubblicato su Exit il 12/12/2020

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