07.09.2024, di Tomasz Konicz
(Pubblicato nell’agosto 2017 in occasione della morte di George Andrew Romero)
Quasi 400 milioni di dollari USA: ecco quanto si dice abbia divorato la produzione e la commercializzazione dello spettacolo di zombie „World War Z“. Se Hollywood investe una somma così generosa nello sfruttamento di un fenomeno culturale – che per decenni è stato marginale per decenni – allora è segno che esso dev’essere ormai arrivato nel mainstream dell’industria culturale occidentale. Soprattutto se si pensa che questo enorme investimento sembra abbia cominciato a dare i suoi frutti solo alla fine. Gli zombie sono ovunque. una vera e propria marea di prodotti culturali dei non morti si sta riversando su di noi, con dozzine di film e videogiochi infestati da zombie pubblicati ogni anno. La produzione annua di beni culturali corrispondenti al soggetto zombie, da tempo continua a raggiungere sempre nuovi massimi, persino superiori a quelli della prima grande ondata di zombie degli anni Settanta e Ottanta, quando George A. Romero, con i suoi classici La notte dei morti viventi (1968) e L’alba dei morti viventi (1978) diede ai non morti una prima spinta di popolarità. Se guardiamo l’elenco dei film di zombie prodotti in tutto il mondo, che si può consultare su Wikipedia, tra il 2010 e il 2012 sono stati prodotti in media 35 film all’anno dove i non morti svolgono un ruolo, secondario o principale. Inoltre, ci sono numerosi giochi per computer in cui i morti viventi devono essere fatti a pezzi in maniera più o meno efficace. Negli anni Settanta e Ottanta, invece, la produzione dell’industria zombie non aveva mai superato la soglia dei 12 film all’anno. Non solo c’è una rapida proliferazione di zombie nella cultura di massa, ma anche le caratteristiche dei non morti sono via via soggette a enormi cambiamenti. Da un lato, c’è una crescente tendenza a razionalizzare lo scenario dell’apocalisse zombie, attribuendolo ad esempio alla diffusione di un virus pericoloso, o a esperimenti militari fuori controllo (World War Z, 28 giorni dopo). Lo zombie di oggi, quello dell’inizio del 21° secolo, che vuole stare al passo con i tempi, difficilmente può permettersi la lentezza che i suoi lontani parenti hanno mostrato nella seconda metà del 20° secolo. A partire dal film britannico sugli zombie, 28 giorni dopo (2002), e dall’efficace e superficiale remake di Zack Snyder di „The Dawn of the Dead“ del 2004, i non morti diventano sempre più veloci, più agili, e anche molto più aggressivi, anche come singoli esemplari. Romero, del resto, invece si affidava completamente all’effetto di massa: i suoi non morti sviluppano la loro pericolosità, solo in quanto si muovono grandi gruppi. Anziché trascinarsi tranquillamente, gli zombie del 21° secolo corrono per catturare le loro vittime non appena le localizzano. La fortunata serie di videogiochi „Left 4 Dead“ costruisce tutto il suo gameplay proprio su questo elemento dei non morti che attaccano costantemente, e la cui esistenza illusoria tra la vita e la morte diventa probabilmente attribuibile a un consumo eccessivo di stimolanti. Naturalmente, questa iperattività dei non morti è stata portata all’estremo con „World War Z“, dove gli zombie si trasformano in una sorta di diluvio umano che avanza rapidamente e divora tutto. Ci vogliono circa dodici secondi perché la vittima morsa da uno zombie si trasformi in un nuovo rappresentante di questa specie che si sta espandendo alla velocità di un incendio boschivo: questa è efficienza. „World War Z“ illustra anche quali sono i compromessi che lo zombie ha dovuto fare nel corso della sua carriera culturale-industriale. Questo film di zombie, compatibile con il mainstream, deve fare quasi completamente a meno degli effetti splatter, in modo da raggiungere così il pubblico più ampio possibile. Tuttavia, questo genere cinematografico rimane tradizionalmente sede dell’uso eccessivo di scene splatter e gore, in cui i brandelli (umani) volano letteralmente. Hollywood ha creato un film d’intrattenimento sterile, quasi adatto alle famiglie, che è stato derubato di una forma di rappresentazione essenziale, e allo stesso tempo controversa e sovversiva. Gli „infetti“ in „World War Z“ non sembravano più mettere in pratica ciò che gli zombie avevano sempre fatto: divorare letteralmente, davanti agli occhi dello spettatore scioccato, tutto ciò che era rimasto(ancora) vivo. Tuttavia, la rottura decisiva con le tradizioni (sovversive) operata da questo genere cinematografico, realizzata con „World War Z“, avviene a livello di contenuto. Da „La notte dei morti viventi“, i gruppi di sopravvissuti esposti all’apocalisse zombie hanno cominciato a essere crivellati di conflitti e contraddizioni, la maggior parte dei quali si intensifica in parallelo agli attacchi zombie. Non è però più il caso dell’adattamento cinematografico di „World War Z“, per quanto il libro di Max Brooks, in particolare, critichi esplicitamente quelle che negli Stati Uniti sono le tendenze allo stato di polizia. Il libro, pubblicato nel 2006, è strutturato come una serie di testimonianze oculari apparentemente reali, in cui vengono descritti non solo gli attacchi zombie, ma anche gli attacchi arbitrari e brutali degli organi statali contro i passanti innocenti. Questa immaginaria „storia orale“ della guerra degli zombie, si può leggere in parte come un commento sarcastico a quelli che sono stati gli scandalosi eccessi dello stato di polizia nell’affrontare il disastro dell’alluvione a New Orleans. Nell’adattamento cinematografico, questo livello sovversivo è stato completamente cancellato, e nel film l’apparato di sicurezza fa uno sforzo di sacrificio per garantire la sicurezza. Inoltre, bisogna anche identificarsi con la tipica famiglia nucleare idilliaca – il proverbiale nucleo della società – la cui coesione era ovviamente drammaturgicamente assai più importante, per i registi, rispetto agli attacchi atomici che interrompono le fastidiosamente stereotipate conversazioni telefoniche tra Pitt e la moglie. Così facendo, „World War Z“ depriva il film di zombie della sua dimensione sovversiva e critica. Gli zombie sono trasformati nell’Altro, lo straniero per eccellenza, che si nasconde al di fuori della società apparentemente non contraddittoria, e dell’idillio familiare – e pertanto incarna una loro minaccia proveniente da forze esterne che devono essere scoraggiate per mezzo di muri (israeliani, statunitensi, europei) e attraverso le fortificazioni del confine. Questa esternazione dello zombie, reso così una minaccia esterna, costituisce la rottura fondamentale e reazionaria che il film commette contro il genere cinematografico. Ciò perché, ovviamente, gli scontri tra i sopravvissuti, nel classico film di zombie, puntano solo al fatto che i non morti incarnano qualcosa che dorme profondamente nella nostra società – qualcosa che attualmente rimane in uno stato di latenza, ma che potrebbe anche diventare manifesto.
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