L’economia di guerra di Putin

28.08.2023, di Tomasz Konicz

Il tasso di cambio del rublo rimane a un livello basso, ma l’economia russa si sta stabilizzando nonostante le sanzioni imposte dagli stati occidentali –

Attualmente, l’economia russa, che da tempo presenta molti di quelli che sono i tratti distintivi di un’economia di guerra, ha cominciato a inviare dei segnali contraddittori. Il crollo della valuta russa contrasta con i solidi dati economici che sembrano invece indicare la stabilizzazione economica della superpotenza belligerante. Nel 2022, dopo che è stata registrata una recessione – il prodotto interno lordo (PIL) era crollato del 2,1% –, più volte, il Fondo monetario internazionale (FMI) ha dovuto aumentare al rialzo le sue previsioni relative alla crescita per la Russia di quest’anno – fino all’attuale 1,5%. Mentre, per esempio, per il 2023, il FMI vede invece la Germania rimanere in una leggera recessione, con un calo della prodotto economico dello 0,3%.

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Per la Russia, la ripresa economica è iniziata in primavera: quando nel primo trimestre si trovava ancora nella recessione che aveva coinciso con l’inizio della guerra (con un -1,9%), già nel secondo trimestre aveva raggiunto una forte crescita, corrispondente al 4,9% in più, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Inoltre, nel mese di maggio, la disoccupazione – ufficialmente registrata nella Federazione Russa – è scesa al 3,2%, il livello più basso dal 1991; cosa che di fatto equivale alla piena occupazione, rendendo così plausibili le previsioni di una forte crescita dei salari reali fino al 3,4% (e ciò nonostante l’inflazione prevista per quest’anno fino al 6,5%). Tutti questi dati economici – in apparenza buoni – sembrano però contraddire il significativo deprezzamento della valuta russa, che durante questa ripresa economica ha perso notevolmente valore rispetto al dollaro USA. All’inizio dell’anno, per un dollaro USA bisognava pagare da 65 a 75 rubli. A metà anno, il tasso di cambio è sceso a circa 80 rubli, una tendenza che si è intensificata nei mesi di giugno, luglio e agosto, fino a quando il dollaro è arrivato a costare 100 rubli. Dopo un intervento della banca centrale russa, che a metà agosto ha aumentato il tasso di interesse di riferimento dall’8,5 al 12%, il tasso di cambio si è stabilizzato, per il momento, intorno ai 95 rubli. Di conseguenza, la valuta russa in declino si sta pericolosamente avvicinando ai minimi storici del subito dopo l’inizio dell’invasione russa nel marzo 2022, quando lo shock iniziale – dovuto alle generalizzate sanzioni di guerra da parte degli stati occidentali – aveva fatto precipitare il tasso di cambio a 130 rubli per un dollaro. In seguito, tra maggio e dicembre 2022, il governo russo era riuscito – attraverso misure di sostegno statale e diversificazione delle esportazioni di materie prime – a stabilizzare la valuta a 55-60 rubli per un dollaro, un livello persino migliore rispetto a quello prebellico dei 70-75 rubli. E allora, come si conciliano la ripresa economica con la caduta del rublo?

Di solito, le perdite relative al tasso di cambio indicano – in special modo, per quel che riguarda le economie nazionali esportatrici di materie prime della semi-periferia – che sta andando giù anche l’economia. In un simile contesto, le conseguenze economiche dovute alla mobilitazione bellica sono particolarmente illuminanti. Ormai, la Russia deve ora essere vista come un’economia di guerra, e questo anche se il governo sta ancora cercando di mantenere una facciata di normalità civile; e questo mentre allo stesso tempo le nuove leggi russe di mobilitazione gettano le basi per un’ulteriore escalation della guerra. Dopo i fallimenti e i disastri che si sono verificati nella prima fase della guerra, allorché gran parte delle attrezzature militari russe venne distrutta, e il governo dovette espandere enormemente quella che era la produzione del suo complesso militare-industriale, in modo da poter iniziare almeno a soddisfare la domanda al fronte, che era immensamente crescente. L’industria militare russa, a livello internazionale, rappresenta l’unico ramo competitivo del paese, la cui economia, nella fase di trasformazione post-sovietica degli anni novanta, è stata in gran parte deindustrializzata. La guerra, almeno per il momento, sta agendo come se fosse una sorta di pacchetto di stimolo economico, che aumenta così anche la domanda di lavoro. In Russia, ad abbassare il tasso di disoccupazione, contribuisce sia la crisi demografica generale – che vede una popolazione la cui età media sta rapidamente aumentando – sia le conseguenze di una mobilitazione parziale la quale ha colpito centinaia di migliaia di salariati russi. Le guerre, spesso causano anche una carenza di manodopera.

Inoltre, la continua ed elevata domanda di materie prime, di fonti energetiche, di alimenti di base e di fertilizzanti sul mercato mondiale, garantisce che ci siano entrate stabili in valuta estera. La Russia, non è solamente il più grande esportatore mondiale di gas, oltre a essere uno dei principali fornitori di petrolio. La Federazione Russa è anche uno dei più importanti produttori di nichel, di carbone, di uranio, di rame, di alluminio e di palladio. Inoltre, quest’anno potrà sperare anche in un raccolto record di cereali; la cui esportazione viene da tempo strumentalizzata dal governo a fini geopolitici.

Malgrado le sanzioni occidentali, tutti questi fattori contribuiscono a che verso la Russia ci sia un afflusso stabile di valuta estera, il quale, con ogni probabilità, si potrebbe prosciugare solo in caso di un forte crollo dei prezzi del mercato mondiale indotto dalla crisi. Tuttavia, allo stesso tempo, questa economia di guerra viene mantenuta semplicemente per mezzo dell’accumularsi del deficit statale; cosa che non crea effetti a catena duraturi, come ad esempio invece avverrebbe nel caso di investimenti statali attuati nel contesto dello sviluppo e dell’espansione di nuovi rami dell’industria (come avvenne con la produzione automobilistica del capitalismo negli anni Cinquanta). In Russia, anche il complesso militare-industriale è fatiscente, e dipende dall’importazione di componenti high-tech occidentali o cinesi, di modo che queste importazioni troppo costose, indotte dalle sanzioni, stanno gravando sempre più sulle finanze e sulla bilancia commerciale russa. Secondo le stime della Banca Centrale Russa, nei primi sette mesi di quest’anno, il saldo di bilancio delle spese correnti della Federazione Russa è stato di soli 25,2 miliardi di dollari americani, rispetto ai 165,4 miliardi di dollari dello stesso periodo dell’anno precedente. L’aumento dei costi di trasporto, e gli sconti sui prezzi che la Russia offre ai nuovi importatori di petrolio russo, come la Cina o l’India, hanno causato questo calo delle entrate. Nello stesso periodo, si è formato un significativo deficit di bilancio di 2,82 trilioni di rubli (l’equivalente di 29,3 miliardi di dollari USA), che corrisponde a circa l’1,8% del PIL della Russia. Nello stesso periodo dell’anno precedente si era invece venuto a creare un surplus di 557 miliardi di rubli. Un aumento del 12% della spesa delle famiglie, è stato controbilanciato da un calo delle entrate del 7,9%.

Allo stesso tempo, aumentano sempre più i segnali di una forte fuga di capitali dalla Russia. Da febbraio 2022 a giugno 2023, in Russia, secondo le stime della Banca centrale russa, circa 253 miliardi di dollari sono stati ritirati dalle banche. Solo nel 2022, il deflusso di capitali ha raggiunto i 239 miliardi (compresi i deflussi di 19 miliardi che c’erano stati prima dell’inizio della guerra), un importo questo, equivalente a circa il 13% di quello che all’epoca era il prodotto interno lordo (PIL) della Russia. Tale cifra ha superato quella relativa alla fuga di capitali negli anni della crisi del 2008 (crisi finanziaria) e del 2014 (annessione della Crimea); ciascuno dei quali ammontava all’11% del PIL. Questi deflussi – così come la svalutazione del rublo – sono anche un’espressione della crescente instabilità politica-di potere che si è venuta a creare nell’apparato statale russo, a seguito della guerra, nel corso della quale i racket e le cricche mafiose stanno sempre più entrando in competizione tra loro. L’ultima ondata di svalutazione – per l’equivalente da circa 80 a 100 rubli per dollaro -ha avuto inizio nella seconda metà di giugno, quando Yevgeny Prigozhin ha guidato la Wagner – la forza mercenaria da lui fondata – nel corso di una rivolta che ha messo a nudo la fragilità del regime di Putin.

Tuttavia, in ultima analisi, sarebbe sbagliato aspettarsi un collasso economico in quella che è la guerra di aggressione russa in Ucraina. I regimi autoritari e le dittature, possono far fronte a difficoltà sociali ed economiche assai maggiori rispetto alle democrazie tardo-capitaliste in via di erosione; se non altro anche solo grazie alla pura repressione. Ecco perché in tempo di crisi il fascismo diventa più attraente. Ad ogni modo, non si può però escludere uno scenario che potrebbe rendere impossibile la continuazione della guerra di aggressione russa: vale a dire, una combinazione di insuccessi militari, unitamente a dei problemi di approvvigionamento, insieme a proteste e malcontento dovuto ulteriori mobilitazioni, così come a difficoltà sociali ed economiche e a tensioni politiche interne. Dal momento che la Russia – come esportatore di energia e di materie prime – dipende dalle economie dei suoi partner commerciali, nelle previsioni esiste un’altra incognita: quella del divampare della prossima crisi. Se l’attuale turbolenza nel mercato immobiliare cinese in difficoltà dovesse diffondersi, e se gran parte della semi-periferia – la quale dipende dal capitale cinese – dovesse risultarne colpita, ecco che allora questo colpirebbe indirettamente anche la Russia.

Tomasz Konicz – Pubblicato il 24/8/2023 su Jungle World

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