Capitalismo dal volto umano

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Tutto ricomincia ad andare bene – dal momento in cui tutti diventano buoni. È questa, più o meno, la logica che si può trovare dietro a tutti gli approcci di organizzazione, iniziative, leggi ed ideologie che pretendono di lottare per un capitalismo etico, per un capitalismo dal volto umano. È difficile che una qualsiasi impresa non faccia riferimento a pratiche etiche riguardo la fabbricazione dei suoi prodotti, nel momento in cui un’immensa confusione di regole, certificati e norme ha la pretesa di assicurare al consumatore dei centri capitalisti che il suo consumo non avviene grazie allo sfruttamento o al furto delle risorse delle periferie.

Oltre al ben noto marchio del Fair Trade che promette un commercio equo per mezzo di un salario più alto dei produttori (ad esempio, nella produzione di cioccolata) del „Terzo Mondo“, i consumatori con un senso etico possono anche prestare attenzione all’abbigliamento, certificato dalla „Fondazione Fair Wear“. Il cui marchio deve garantire l’osservanza di „condizioni di lavori decenti“ ed eque, nell’industria tessile della periferia – cosa che, a fronte di situazioni barbare come quelle del Bangladesh o della Cambogia, equivarrebbe, nella realtà, ad una sollevazione rivoluzionaria. Commercio equo di prodotti naturali, come frutta, legumi, fiori o erbe aromatiche, viene garantito da certificati come Fair Flowers Fair Plants, FairWild, Flower Label Program, oppure dal marchio della Rainforest Alliance.

La tendenza al commercio equo ha raggiunto ormai da tempo il flusso principale del mercato : nei supermercati tedeschi, quasi tutti gli ananas e le banane ormai portano quest’etichetta di sostenibilità. La città di Leverkusen, da parte sua, è impegnata nel farsi certificare come Fairtrade Town, in quanto avrebbe raggiunto, nei negozi e nei ristoranti della città, una determinata quota di prodotti di commercio equo. Le vendite legate al commercio equo sono esplose nell’ultimo decennio, passando dai 72 milioni del 2005 ai 978 milioni del 2015.

Da tempo, anche il settore bio tedesco è salito sul treno dello spirito del tempo del „capitalismo equo“. Il marchio bio Naturland si è allargato arrivando a coprire, per mezzo di disposizioni, la realizzazione di norme sociali e di diritto de lavoro, che ora sono garantite per mezzo dell’etichetta Naturland Fair. La Rapunzel Naturkost GmbH detiene il marchio Hand-in-Hand, che fra le altre cose mira anche a garantire decenti condizioni lavorative. In quasi tutti i gruppi ci sono prodotti che recano il marchio di „commercio equo“, che non  vengono promossi solo per il ramo bio. Esiste un qualche interesse nel commercio equo per quel che riguarda il settore estrattivo? Il marchio XertifiX, fondato nel 2005, garantisce che nelle cave certificate non viene sfruttato lavoro infantile e vengono rispettato standard minimi sociali e norme lavorative.

Questo movimento per un capitalismo etico non è una mera campagna pubblicitaria a buon mercato. È ovvio che ci sono le solite truffe con le etichette, l’ultima è stata scoperta dalla ONG Oxfam nelle installazione della Rainforest Alliance, dove i lavoratori sfruttati e i sindacalisti vengono intimiditi e dove vengono usati pesticidi in maniera massiccia. Tuttavia, la frode nel settore del commercio equo non è in alcun modo la regola, il movimento è un movimento reale. Gli agricoltori o i contadini che hanno la fortuna di riuscire a vendere nel contesto del programma del commercio equo i loro prodotti agricoli della periferia, grazie a garanzie di prezzi „equi“ minimi, hanno davvero una posizione migliore nel mercato rispetto ai loro concorrenti che devo continuare ad operare nel mercato aperto.

Ma questo naturalmente non significa che i lavoratori/lavoratrici permanenti o giornalieri che faticano nelle piantagioni del commercio equo riescano realmente ad ottenere salari più elevati, come spiega la scienziata sociale ambientale Sarah Besky nell’intervista ad un giornale in cui fa l’esempio dell’India: «Noi consumatori riteniamo che i lavoratori debbano guadagnare più denaro dal momento che nei supermercati i prodotti del commercio equo sono più cari. Ma nelle piantagionio questo non avviene. Se qualcuno guadagna di più, questo è il proprietario della piantagione. I salari in tutti gli Stati federati dell’India sono uguali per tutti i lavoratori delle piantagioni, in quanto sono definiti per legge.» È indifferente se i lavoratori stanno lavorano in una piantagione bio o in una piantagione di Fair Trade, dovunque si guadagna lo stesso. La questione attiene a come il settore del commercio equo definisce il termine „produttore“.

Il desiderio generale di un capitalismo pulito e dal volto umano si riflette anche nelle corrispondenti iniziative legislative, come il tentativo del Ministro per l’Ambiente della Renania Settentrionale-Vestfalia, Johannes Remmel (dei Verdi), di vietare la cosidetta „triturazione dei pulcini, che consiste nell’uccidere in massa i pulcini maschi dopo la schiusa delle uova. Perfino il settore finanziario è preoccupato riguardo al contenuto etico dei suoi investimenti, come ha riportato Die Welt nella sua edizione online. Anche nella Borsa, le „persone per bene“ sono ormai al comando. «Sempre più investitori globali vogliono fare meglio con gli investimenti a livello mondiale. Perciò abbandonano le fabbriche di armi, i produttori di carbone, i fabbricanti di alcol e le società di gioco d’azzardo.» La società assicuratrice francese Axa, ad esempio, ha abbandonato gli investimenti nell’industria del tabacco. Perfino il gigante tedesco delle assicurazioni, Allianz, ha annunciato „una revisione di tutte le aree di investimento sulla base di criteri etici“. Di fronte a simili gesti delle persone per bene, perfino il reazionario direttore commerciale di un giornale del gruppo Springer può trasformarsi in un critico del capitalismo. Dato che gli „investimenti etici“ ora sono di gran moda, soltanto „investire nel male“ potrà dare un ritorno certo, metteva in guardia Die Welt alla fine di maggio. I rendimenti dei fondi azionari relativi ad investimenti moralmente censurabili avrebbero facilmente superato quelli dei „fondi azionari della gente per bene“.

Naturalmente, Die Welt si sbaglia. Si tratta solo di uno sgradevole sforza di proiezione inconscia attuato da tutti questi reazionari moralmente degenerati del campo della nuova destra, che in tal modo cercano di nobilitare come legge naturale della società umana la loro propria meschinità di carattere ed il loro opportunismo senza limiti. La relazione di capitale – che prevale sui soggetti del mercato sotto forma delle famigerate costrizioni di fatto, anche se queste si sviluppano letteralmente giorno per giorno – è un processo cieco auto-referenziale, che ha come principio solo la valorizzazione maggiore e più sicura. È un’astrazione reale sociale globale, spinta da una dinamica distruttiva propria, per mezzo della quale viene accumulato lavoro astratto „morto“, che successivamente cambia forma (denaro, merce, lavoro salariato). Pertanto, il capitale è cieco rispetto alle conseguenze sociali della sua illimitata auto-propagazione, non conosce categorie quali „buono“ e „cattivo“. Il rendimento può essere ottenuto per mezzo di bombe a mano, di macchine per triturare pulcini ed anche con il caffè del commercio equo – a condizione che esista la corrispondente domanda sul mercato.

Pertanto, fa parte della più elementare critica radicale del capitalismo, che va alla radice delle cose, mostrare che credere nella possibilità di un „capitalismo dal volto umano“ è un’illusione. Non sono i profitti provenienti da investimenti „cattivi“ a trasformare il mondo in un inferno, ma è la dinamica di valorizzazione globale innescata dalla ricerca di profitti senza limite ad essere responsabile della distruzione umana e ambientale. Infatti esistono normalmente mostri auto-mobili che divorano carburante, bombe a mano e macchine per triturare pulcini, per mezzo di cui si ottengono rendimenti nel capitalismo. Ma continuano ad esistere ancora, quanto meno nei centri del sistema mondiale, delle nicchie redditizie dov’è possibile ottenere rendimenti per mezzo dei prodotti, grandemente apprezzati, del „commercio equo“. In quanto non si tratta di altro, per quel che riguarda il commercio equo, che non a caso si sta espandendo soprattutto in Germania, considerata la grande vincitrice della crisi in un’Europa in rapido impoverimento. Commercio equo è l’etichetta per una classe media sociale ed ambientalmente cosciente, che può perfino concedersi il lusso di un tale sostituto della buona coscienza. Ma in Germania gli strati inferiori ormai non riescono più ad acquistare questo senso di benessere.

Nell’attuale crisi del sistema capitalista sono due le tendenza opposte che acquistano slancio. Da un lato, la stessa ala sinistra del settore del commercio equo considera l’ottenimento di rendimenti – ossia, la realizzazione del movimento di valorizzazione del capitale – come se fosse la cosa più naturale. E, dall’altro lato, la necessità di „buoni“ investimenti porta ad alleviare un disagio più che altro mentale, cosa che entusiasma i reazionari di tutti i colori. Entrambe le tendenze ideologiche interagiscono con la dinamica di crisi. Dato che le crisi e le turbolenze crescenti non possono essere attribuite alle galoppanti contraddizioni interne della relazione di capitale – immaginata come „naturale“ – le „cattive“ azioni devono essere ritenute responsabili di tutti i mali del mondo. La causa della povertà dilagante e della minaccia del collasso della civiltà non viene individuata nel movimento di valorizzazione (naturalizzato) del capitale, ma sono i profitti attuati per mezzo di prodotti e di servizi eticamente discutibili o riprovevoli ad essere immaginati come la fonte di tutti i mali. Lo sfruttamento della merce forza lavoro, che è l’essenza della relazione di capitale, per questa ideologia sembra che esista soltanto nelle condizioni di lavoro che sono senza dubbio eticamente riprovevoli. Tutto questo è un eccellente esempio di una critica di sinistra del capitalismo riduttiva, la quale non mette in discussione radicalmente le categorie, le istituzioni ed i piani di mediazioni basilari della socializzazione capitalista.

La discrepanza fra l’impulso morale di alcuni individui e la dinamica autodistruttiva propria del sistema può essere letta assai bene nei giuramenti di miglioramento della politica e dell’economia finanziaria globale, che sono iniziati dopo lo scoppio della crisi finanziaria del 2008, quando le bolle immobiliari sono esplose negli Stati Uniti e in Europa, e il mondo si trovava sull’orlo della fusione nucleare del sistema finanziario globale. La politica e le banche allora giurarono all’unisono che avrebbero rotto con l’indebitamento e che ora avrebbero regolarmente imposto ai mercati finanziari delle redini più corte. Uno dei tanti esempi di questo periodo di pentimento: Stephen Green, da tempo amministratore delegato del HSBC, nel 2009 in un’intervista a FAZ, dichiarava di essere un cristiano che intendeva lottare per un „capitalismo etico“. Dal momento che dopo tutto ci sarebbe più gioia nel dare che nel ricevere. «Solo chi dà si sente realizzato. Questo non si trova solo nella Bibbia», dichiarava il capo di una delle maggiori banche di investimento del mondo. Dopo il settore finanziario globale, diciamolo, si è impadronito dei molti miliardi dei piani di salvataggio statali, la montagna di debito globale è arrivata alla bagatella di 57 miliardi di dollari (nel periodo dal 2007 al 2014), ed il sistema finanziario globale si trova prigioniero di una bolla speculativa ancora una volta gigantesca. La situazione è analoga a quella degli sforzi volti a costruire un capitalismo „verde“ ambientalmente sostenibile che venfono smascherati come mera illusione dall’aumento permanente e incontrollato del concentrazione di CO2 nell’atmosfera.

È proprio l’etica, storicamente modellata dal capitalismo, che si mette di traverso sulla strada della critica radicale del capitale. Con l’imposizione del protestantesimo, non solo il lavoro salariato viene esagerato religiosamente, nel contesto dell’etica protestante del lavoro – anche l’accumulazione del capitale, guadagnando ampiezza all’inizio dell’età moderna, viene coinvolto con la sua aura di sacralità, in special modo dal calivinismo e dalla sua dottrina della predestinazione. Il successo dei fedeli in questo mondo viene considerato così come un’indicazione sicura dell’elezione da parte di Dio, che aiuta tutti coloro che sanno aiutare sé stessi. Il credente puà guadagnarsi il proprio ingresso nel regno dei cieli per mezzo del maggior successo professionale possibile.

Qui si ha l’impressione che l’accumulazione del capitale, a sua volta, deve servire ad una finalità religiosa, dell’altro mondo. Attraverso il successo economico, il credente vuole scoprire se nel quadro di predeterminazione dell’universo gli viene concessa la grazia divina. L’accumulazione della ricchezza, pertanto, non ha come finalità quella di apprezzare e „dilapidare“ i suoi frutti, come facevano nell’antichità i proprietari di schiavi oppure come faceva la nobiltà disprezzata dalla borghesia. Il protestantesimo iniziale – e specialmente il calvinismo – disprezzava il piacere sensuale dei frutti materiali dell’accumulazione nel corso della vita, cui erano condannati i suoi fedeli. L’accumulazione del capitale appare come un fine in sé motivato religiosamente, che è stato accompagnato dalla rinuncia, dall’ascetismo e dal duro lavoro. Quest’etica protestante del lavoro, dell’autodisciplina e dell’accumulazione della ricchezza con motivazioni religiose, che così veniva ad essere gradualmente trasformato in capitale, è stata quella che ha incentivato il decollo del capitalismo in Europa dall’inizio dell’età moderna – com’è noto, così ha argomentato soprattutto il sociologo Max Weber nella sua opera L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo.

Quest’etica che si pone in modo disinteressato al servizio del movimento di valorizzazione del capitale, disaccoppiato dalla volontà dei soggetti del mercato, si mantiene, nonostante tutte le esplosioni di secolarizzazione, anche nel capitalismo tardivo, il quale assume nella sua crisi sistemica finale sempre più il carattere di una religione secolarizzata, il carattere di una „setta del suicidio sociale“ (Robert Kurz). Nell’insieme della società, il lavoro salariato e l’attività generale del mercato vengono ancora considerati sacrosanti – almeno incosciamente. Nelle sette evangeliche americane, questa relazione fra successo economico ed elezione da parte di Dio, ancora oggi viene formulata esplicitamente. Quindi è vero che il capitalismo può permettersi un’etica, la „sua“ etica, che in ultima analisi è un’etica del lavoro salariato alienato, un’etica della sottomissione all’eteronomia della relazione di capitale.

Naturalmente questo non vuol dire che le maschere di catattere, che coprono funzioni economiche o amministrative nell’ambito di questo processo di valorizzazione, non possono avere alcuna colpa. Proprio il concetto di „soggetto automatico“ di Marx, che designa non solo l’auto-movimento del capitale in quanto soggetto sul piano macro dell’insieme della società, serve a chiarire la relazione fra colpa individuale e coercizione sistemica. Esso chiarisce, sul piano micro del soggetto, che il meccanismo del movimento di valorizzazione deve essere eseguito in maniera cosciente dal soggetto, il quale è pertanto pienamente responsabile delle sue azioni soggettive.

Tuttavia, l’azione responsabile non può essere equiparata ad un’etica capitalistica borghese. Diversamente, non potrebbe essere spiegata l’indignazione sociale realmente esistente contro gli eccessi e le assurdità del capitale, il quale si è convertito nella base del business del settore del commercio equo, e di fatto ha innescato il primo impulso per una „politicizzazione“ anticapitalista. La capacità di distinguere fra il bene ed il male è il risultato della capacità di empatia delle persone, con le quali si possono condividere ingiustizie, sofferenza e dolore. È un meccanismo di difesa che rende tabù tutte le azioni che lo stesso soggetto non vuole soffrire. È questa, in ultima analisi, una condizione fondamentale del processo civilizzatore umano che il capitale, nella sua crisi letale, cerca di rimuovere dagli involucri bruciati del soggetto per mezzo del terrore della concorrenza sfrenata – il che si esprime, soprattutto, nell’odio da parte della nuovissima destra nei confronti delle „persone per bene“.

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